lunedì 31 dicembre 2012

LA NATURA COME CLASSE LOGICA E IL SUBLIME EQUIVOCO DEL “DEUS SIVE NATURA” DIO COME NATURA



“La classe è un aggregato di enti.  La classe di tutte le classi è aggregato di tutti gli enti possibili: la Natura”.
 (Palermo 2012)




Col termine “Natura” si designa l’Insieme o il Tutto delle cose che esistono in questo Universo: l’insieme di tutti gli enti, la totalità degli esistenti e del loro essere, siano essi visibili o invisibili. Tutti, proprio tutti.
             Perciò, “Natura” è tutte le cose, perché nessuno ha mai visto nell’Universo la Natura come singolarità. Essa è quindi definibile come la Classe di tutte le classi degli enti dell’Universo.
            La Natura come Universale e Insieme di enti è razionale, cioè possiede un codice algoritmico per ogni sua singola  classe e suoi valori o elementi. La matematica la esprime nella sua obiettività e nella ragione logica.
            Questo è un concetto e una realtà, quindi, che appartiene alla logica. E’, cioè, un concetto derivato, e di seconda istanza. Vale a dire, ancora, che le leggi della disciplina logica e matematica che riguardano rispettivamente le Classi e gli Insiemi sono meno primitive di quelle che riguardano i concetti direttamente astratti e ricavati dalla realtà: prime e seconde intenzioni.
            Nel dominio dei predicati di secondo livello o seconde intenzioni (la logica) c’è  un qualcosa di immediato e un qualcosa di derivato: estensione e intensione.
            Ora, tutto questo discorso mi pare appartenga alla scienza della logica come scienza del pensare e, perciò, esistente solo nella mente: è un suo prodotto. Esso, di conseguenza, non è una realtà obiettiva, non appartiene all’ontologia. Nella logica, però, esiste una legge ferrea e ben precisa che riguarda la Classe e gli Insiemi e, naturalmente, la Classe di tutte le classi. Questa legge logica recita così: le Classi non possono far parte dei loro valori. Vale a dire che gli “elementi” o valori di una Classe non sono la classe e viceversa. Per esempio: la Classe dei bicchieri non è un bicchiere; meglio: un bicchiere non è la sua Classe, come la Classe degli uomini non è un uomo.
            Dire: “l’uomo” significa “Tutti gli uomini”: il vecchio universale della Scolastica.
            L’analogia col nostro dire sulla “Natura” è sorprendentemente evidente per demonizzare ed espellere dal discorso seriamente scientifico ogni riferimento causale con il concetto di Natura.
            Perciò, quando i filosofi identificano Dio con la Natura simpliciter (Deus sive Natura) commetteno una fallacia: la fallacia che confonde l’Essere Assoluto (Dio) col concetto logico di Natura, come se la Natura fosse “una” realtà o sostanza metafisica, mentre è solamente un concetto mentale o universale logico: la Classe che indica tutti gli esseri esistenti. La fallacia rimane anche se si considera la Natura come “Sostanza” e causa di se stessa, necessaria e creatrice di tutto, eterna, infinita: Dio (Spinoza). Perché delle due l’una: o la Natura è Sostanza reale ed obiettiva, ontologica, oppure non lo è. Ma se la Natura è considerata come la sostanza nel senso della metafisica aristotelica, allora qui si teorizza una specie di “Anima mundi” che appare nelle cose visibili e nei fenomeni del mondo. Addirittura è ipotizzata una divinità o un “Dio” chiamato “Natura” e con essa identificato: Deus sive Natura. Ma allora siamo nel teismo cosmologico classico, perché per “Natura” si intenderebbe un Dio: una Sostanza divina e i suoi fenomeni. Ora, questo Dio dai fenomeni contingenti che tipo di Dio è, se la Natura è in divenire? Cosa veramente misteriosa, se il divenire è imperfezione.
            Così anche: quando i moderni positivisti, fisicalisti, materialisti, miscredenti e quant’altri “scienziati” del settore affermano che la Natura produce, per esempio, la selezione naturale delle specie, commettono un’enorme stolta fallacia. Essi attribuiscono ad una relazione logica il potere concreto di gestire una proprietà e una potenza selettiva che produce specie nuove ed esseri sempre più perfetti sino ad arrivare all’intelligenza ed all’autopercezione o autocoscienza nell’uomo sapiens sapiens. Quanto sia precario questo discorso è presto detto1.
            In conclusione: gli “scienziati” del settore sono pregati di non usare più il termine “Natura” per indicare una Materia o realtà onnicomprensiva e onnipoderosa come un Dio che crea se stesso (?) e tutto il resto. Questo concetto che ha dominato l’intero secolo scorso e più del nostro tempo, a ben vedere non è la ule aristotelica priva di forme (materia prima) ma è come una Madre che nella temperie mediterranea genera continuamente, per intrinseca sua potenza e forza, i suoi figli o prodotti (evoluzionismo fisicalista). Se “Natura” sono tutti gli enti reali, allora quale degli enti genera tutto? Una stella, un albero, un uomo, un bicchiere?
            Ora, sembra chiaro che il materialismo riprende il suo concetto di Materia dal mito mediterraneo e non dalla metafisica che è altra cosa. Il pregiudizio fisicalista, che ha avvelenato le menti dei giovani e meno giovani di tutto un secolo di prodotti criminali, è scaturito proprio da questo iato: l’equivoco del mito scambiato per metafisica materialista. Le centenarie elucubrazioni per cui tutto l’esistente proviene dal basso significa aver privilegiato la struttura dell’evento più che l’essenza di esso. Caduto l’essenzialismo e il concetto metafisico di sostanza si credette di poter subito istituire un moderno e limpido modello di filosofi non più legati alla vecchia e insolente metafisica. L’esistenzialismo ha dominato l’Europa gloriosamente per tutto il dopoguerra ad iniziare dal filosofo Søren Kierkegaard e, con drammi e commedie, col filosofo Sartre e l’antimetafisico Heidegger, per poi planare dolcemente nel pensiero nichilista e nella morte di Dio che dell’uomo è una bella proiezione. Ma la proiezione, se muore, indica che il proiettato non funziona più perché non esiste chi proietta (?!), se non proietta. Siamo, perciò, nella più vile delle responsabilità intellettuali che, però, bisogna impugnare col genio della Scienza e della Sapienza.
            Impugnare e battere il pregiudizio materialista è e sarà il nostro non facile compito. Noi crediamo che questo può essere fatto dal movimento della             Nuovissima Scolastica che, con un rinnovato e severo rapporto tra le scienze moderne e la dignitosa e sublime metafisica platonico-aristotelica, raggiunge una piattaforma culturale di matrice cristiana che il mondo moderno ci dovrà invidiare.
            I “Nuovi ateismi” che danno dell’imbecille (Comte – Sponsille) a chi crede che un Dio esista, collocando invece i nuovi atei in un Paradiso chiamato “sapere”, essi enunciano un insulto ai fideisti dogmatici perché sarebbero semplicemente degli imbecilli creduloni. Il sapere sarebbe la scienza bella e buona che, però, confondendo la “Natura” con la Sostanza del Mondo, e la Materia con la sostanza della Natura che è, invece, un semplice concetto logico, essi dichiarano di aver capito poco della strada che porta alla verità (Penrose). A dopo!



1 Cfr. il mio: L’anima e i suoi prodotti (…), cit. p. 159 ss.

ODIFREDDI: “Caro Papa, ti scrivo”


Si autodefinisce «una lettera luciferina» inviata al «caro Papa Ratzinger» e come «una memorabile introduzione all’ateismo».
Mi ha meravigliato sapere che il “matematico-ateo” è stato seminarista (Cuneo, 1959).
         La prima impressione che si ha alla lettura del libro “luciferino” è lo scorrere facile e leggero delle proposizioni. Il Nostro ateo-matematico ha certamente raggiunto una mano letteraria di notevole efficacia e, ne diamo atto, di profonda e larga cultura. Non fa assolutamente difetto una “memorabile” dialettica che distingue ogni pagina. Il discorso, però, vorrebbe trascinare il Santo Padre Benedetto in una metaforica tragicommedia «di clown e pagliacci» (pp. 13-14): i preti e i loro strani paludamenti di “Prada” medievali e “Dolce e Gabbana” preistorici.
         L’atteggiamento del matematico-ateo, nella lettera al Papa, è impostato sulle ali dell’ironia e, a volte, del sarcasmo. La cattedra del gran pulpito è evidentemente la scienza della matematica, dall’alto della quale egli «pontifica» come semplice pontiere. Attacca, però, il «Pontefice» come «capo pontiere» dei tempi imperiali (p. 16).
         Ricorderà egli, certo, la biblica  statua del Libro di Daniele (2, 31): “La testa d’oro puro (…), i piedi di ferro e argilla”. Mi sembra la metafora della Matematica e dei suoi ministri che si pongono sul pulpito fideista (Penrose) per poi chiedere al credente cristiano, Papa Ratzinger, conto e ragione della propria Fede.
         Se non che un bel giorno, agli inizi del secolo scorso, il gran logico-matematico Russell scopre, tra le righe dei suoi Principia Mathematica (tr.it. Longanesi, Milano 1988, p. 166 ss.), il paradosso della “Classe di tutte le classi che non sono membri di se stesse, se è membro di stessa” ed altre similari antinomie. Ne resta fulminato il gran matematico Frege che sta per pubblicare il suo poderoso: “I principi dell’aritmetica”, che deve dismettere, perché si dimostra fallace e contraddittorio alla luce delle antinomie scoperte da Russell.
         Non bastasse, un giovanissimo genio matematico, Kurt Gödel, credente in Dio, e perciò un po’ sospetto, sconvolge tutti col suo “teorema di incompletezza”: all’interno di ogni sistema formale contenente la teoria dei numeri (aritmetica) esistono proposizioni che il sistema non riesce a «decidere», cioè a dimostrare se vere o false. Il teorema allerta, in negativo, il gran “formalista” Hilbert e mette in ko il pròsopa di Russell. Il quale, fra l’altro, è già incappato – nel tentativo maldestro (Blanché) di risolvere il gran paradosso della “Classe di tutte le classi”… – nella “casuale” scoperta del concetto di sostanza, fonte e centro della metafisica aristotelica. Dalla magra figura metafisica fatta presso gli amici logico-empiristi e positivo-materialisti, Russell cerca di defilarsi dichiarando che quel concetto è logico e non ontologico: una magnifica affermazione.
         La ciliegina: Einstein, dopo aver «detronizzato» l’euclidismo in geometria, in una famosa conferenza tenuta a Berlino (1921), afferma che «nella misura in cui le proposizioni della matematica si riferiscono alla realtà, esse non sono certe e, nella misura in cui sono certe, non si riferiscono alla realtà». Vale a dire che la “verità è ancora tutta da scoprire”, se non siamo sicuri che ciò che è nella nostra mente sia “uguale” alla realtà obbiettiva.
         Allora: tutto il nostro discorso vuol dire una cosa semplice. E cioè che i princípi, i postulati, le proposizioni primitive della matematica e di tutte le scienze astratte e non, sono, allo stato attuale delle conoscenze, come delle fedi laiche che non si distinguono affatto dalle fedi religiose (cristiane e non), come, ad esempio, gli amminoacidi delle “padelle primordiali” degli evoluzionisti – da cui tutti, pare, proveniamo – e il fango della Bibbia (Genesi 2, 7) da cui il Padreterno plasma subito Adamo protobaterio, senza aspettare lo splendido “pupo di fango”.
Il contenuto di queste fedi possiamo definirlo: mistero inconoscibile e trascendente. Vale a dire che ogni fede e credenza ha i suoi dogmi e i suoi misteri scritti nei cieli della metafisica o negli Iperurani delle scienze matematiche ed empiriche-pure. Essi, principi e postulati, non si possono dimostrare o decidere con la ragione perché non sono deducibili: non sarebbero primi principi o proposizioni primitive e postulati, né si possono provare come veri o falsi, bensì solo giustificare come non contraddittori, perché sono al di là della possibilità della ragione stessa a dimostrarli o comprenderli: che misteri e postulati sarebbero? E, quando si volle sbrogliare il famoso quinto postulato di Euclide, si scoprì (Saccheri, Lobachevsky) che era possibile e ragionevole una “geometria” detta proprio non-euclidea, senza scandalo di nessuno: non si criticò aspramente la nuova scienza, anzi si intravidero nuove possibilità della conoscenza del senso e della verità dell’essere. Oggi sono molte le scienze non-euclidee.
         Tommaso d’Aquino, addirittura, precorrendo queste strane scienze, aveva scritto (Summa I, 1, 1 ss.) che “la Teologia o Sacra Dottrina della Rivelazione” è una vera scienza, simile proprio al non-euclideo: una bolla! E scrisse tante altre cose che fanno al caso nostro, come ad esempio, che i Misteri rivelati e i Principi delle scienze tutte, assolute o subordinate, sono proposizioni e realtà simili.
         Ed è bene che il nostro matematico Piergiorgio sappia tutto questo, al fine di non incappare in discorsi «estremamente rischiosi» per conoscere «l’autentica realtà» o, come la chiama il grande fisico americano Penrose: «Verso la realtà», senza scomodare Freud o Feuchtersleben e le loro «psicosi nevrotiche» ottocentesche. Per non parlare delle meschinelle «arguzie» letterarie di Borges che confondeva, da buon poeta, la teologia della Rivelazione cristiana con la «letteratura fantastica» delle sue poco apelliane alienazioni. Egli non aveva la più pallida idea cosa fosse una scienza non-euclidea, come la concepiva il longobardo Tommaso, già nel sec. XIII.
         Quando Frege riceve la lettera di Russel, che gli comunica la scoperta dal paradosso della “Classe”, mandando a monte i suoi solidi studi per la formalizzazione dei principi della matematica, pare abbia esclamato (deluso): «mal comune mezzo gaudio» (salarium miseris, socios habuisse malorum): si riferiva a Dedekind e soci.
         Bello il riferimento di Odifreddi a Karl Marx e Umberto Eco (pp. 27-28), che danno della religione le iperuraniche definizioni, «rispettivamente, come oppio [con milioni di morti] e cocaina dei popoli [con milioni di malati]».
Il discorso del «caro Papa» era stato del più corretto pensiero contemporaneo: l’uomo credente «deve invertire la rotta (…) se vuole riconoscere quanto sia cieco allorché confida solo in ciò che i suoi occhi vedono» (p. 27).
         La sorpresa scandalizzata del positivista Piergiorgio gli fa subito volger il pensiero alle droghe e drogati di vecchio oppio e moderna cocaina del cui laico pipì sono pieni i nostri fiumi.
         Purtroppo, però, ogni dogma o postulato o proposizione primitiva vanno descritti e giustificati con linguaggi vari che debbono esprimere un certo senso logico di fronte alla ragione storica. Tuttavia, di fatto, e spesso, alcune teorie profetiche e dogmatiche hanno attirato e attirano dietro di sé popoli e nazioni in modo assolutamente metafisico, prima di ogni esperienza, come è avvenuto, per esempio, col marxismo storicistico (della miseria popperiana), materialista, profetico, idealista, molto simile ai dogmi religiosi e a ogni fede che si dice rivelata dall’alto. Essi, come ben sappiamo, hanno trascinato e trascinano il mondo intero nel baratro nichilista di morte per Gulag, droga, fame, guerre e così via.
         A questo punto, l’amico matematico pare abbia una chiara forma di resipiscenza, causata, forse, dal forte richiamo del Papa alla «conversione». Egli, tuttavia, la chiama solo «fraintendimento». Non è che la scienza – protesta Piergiorgio – rinunci «a cercare l’essenza nascosta delle cose, a scandagliare le sostanze dell’essere stesso (…). Questa essenza delle cose, che la scienza ricerca a partire da Parmenide e Pitagora, è lontanissima dalle potenzialità del «vedere, udire, toccare», prendere a calci, «in cui Lei [caro Papa] ritiene invece si esaurisca miseramente la sua attività» (p. 29).
         Il «caro Papa», però, non ritiene, ma solo ripete le vostre fanfaluche empirico-positiviste che lei, caro amico, distorce amaramente quando comincia a scomodare, bontà sua, la fisica quantistica. «I veri elementi costitutivi della realtà – scrive lei – risultano (…) le particelle elementari della materia (…) che, in ultima analisi, sono energia». Essa (materia-energia, E = mc2) si presenta, però, in ultima analisi, «ancora “oscura” di nome e di fatto» (cf. ib.). Perciò niente certezze e verità, se la “materia” è ancora una cosa da capire.
         La contraddizione plateale e disumana del nostro eccellente positivista logico-matematico è da cercarsi proprio nel concetto di sostanza: si ripropone «la vecchia battaglia attorno a questo concetto». Per cui, ancora oggi, pare non se ne venga a capo, in una bilancia che sempre oscilla, su e giù, secondo i pesi che vi si mettono: però, Aristotele dopo Wittgenstein, “gigantomachía perì tès oúsias” (cf. pp. 28ss.).
I colleghi logico-empiristi del Nostro, credo, stiano già strepitando e i morti positivisti dal loro “nulla” si rivoltano. Ma come? Tu riproponi, per la scienza, la struttura essenzialistica della metafisica aristotelica? Non abbiamo noi detto che le leggi scientifiche vengono scoperte al modo empirico e verificazionista, e, perciò, restano su quel piano? Ora tu ci vieni a dire che esse leggi sono la sostanza e l’essenza del discorso scientifico, come hanno da sempre gridato gli aristotelico-scolastici, con quel “barbaro longobardo” Tommaso e i loro “Universali”, vecchia lagna boeziana? E le nostre “Classi” e “Insiemi” non sono forse i vecchi “universali” della Scolastica?
         Il «caro Papa», dal Nostro contestato, aveva scritto che: “Abbiamo rinunciato a cercare l’essenza nascosta delle cose e a scandagliare la sostanza dell’essere stesso (…). Sterile tentativo, sicché la profondità dell’essere finisce per apparirci irraggiungibile” (cit. ib.).
         Ma che disputa è questa? Si contesta, prima, ciò che si concede poi. L’ironia di Odifreddi verso la gran cultura cristiana è come la bandiera dell’Unione Sovietica ammainata il 25 Dicembre, come un solstizio d’inverno: il trionfo dell’ossimorico matematico.
         L’introduzione all’ateismo deve, perciò, cominciare ad attrezzarsi per dimostrarlo, se ce la fa, quanto meno per non essere spiazzata dalle numerose prove, cosmico-ontologiche, che di Dio si fanno in abbondanza e in tutte le salse empirico-trascendentali, metafisico-ontologiche, etico-praticistiche, postulatorie e scientifico-logiciste, fisico-spazio-temporali dell’eternità e del tempo dell’essere, ecc.
L’ateismo si faccia coraggio e ne cerchi altrettante «per rimanere credibile, opponendo risposte di grandiosità comparabile» (pp. 29-30) per non sembrare che «sicuramente non lo fa» allorché «nel pensiero moderno è andato a poco a poco affermandosi un nuovo concetto di verità e di realtà» (p. 30). E’il già visto trionfo del soggetto e sepoltura dell’oggettiva e sconosciuta “cosa-in-sé”.
Il pericolo è, caro matematico, di incappare nelle «psicosi nevrotiche» ottocentesche dell’antireligione freudiana e di quell’altro impronunciabile nome di chi era costui.
Purtroppo, nel passato molti seminaristi ci siamo incappati. Solo alcuni più fortunati sono guariti, forse per intercessione di “san” Darwin; altri, invece, siamo rimasti intrappolati nelle secche del Vangelo di Gesù Cristo, d’amore e di salvezza.
         Qui mi fermo, come una piccola introduzione ad ogni futura scienza della ragione che traccia il movimento della Nuovissima Scolastica. Essa risponderà, con rispettosa puntualità, alle tante belle pagine letterarie dell’introduzione luciferina, se ce ne sarà tempo e voglia: Kafka docet!
         Al caro amico Giorgio un consiglio spassionato: riscopri la tua antica Fede e troverai la via della Verità e la soddisfazione della Ragione. Insieme si potrà percorrere un itinerario fortemente umano per salvare dalla dissoluzione la speranza del mondo.

martedì 20 novembre 2012

CONTRATTACCO PER MARGHERITA HACK E COMPAGNI ATEISTI, VITAMINE DELL’INTELLIGENZA PER MATERIO-POSITIVISTI



di ANTONY LIGIJER

* * *

            Veniamo informati, da un’intervista al giornale Pubblico (26/10/12), che l’astrofisica Hack fa un’interessante confessione e una dichiarazione testamentaria: 90 anni. La cosa per cui vale la pena ancora di lottare sono le seguenti:
  1. Un’esistenza atea, fondamento di quelle “cose”.
  2. Una fede formidabile nella “materia”, la sola che ha base scientifica.
  3. Una assoluta miscredenza in Dio, nell’anima e… nell’Al di là.
  4. Ed, infine, lottare per dichiarare, in modo solenne, che finalmente ci si rende conto che il nostro bel Paese-Italia «è in via di sottosviluppo».
  5. Tante altre magnifiche scoperte che val la pena testamentare a futuro sollievo pedagogico dei giovani.
Non ci prolunghiamo, ma iniziamo a far scienza da una cattedra non certo profumatamente pagata come quella, ma solo di origine naturale: un hobby religioso.
            Scienza (e caso scientifico) significa fare affermazioni e pronunciamenti dimostrati. Dimostrare vuol dire rendere evidenti e toccabili con mano le affermazioni che si fanno con argomenti ineccepibili, come in matematica. La tecnica di ogni dimostrazione nelle scienze speculative è quella del sillogismo aristotelico, e nelle scienze sperimentali è la conferma della verifica empirica: la battaglia positivista. Poiché tutto è materia, come afferma la Hack, l’unica dimostrazione di evidenza è quella empirico-sperimentale.
            Mi domando: cosa è questa materia di cui tanto si parla in giro per fisica ed affini? E’ abbastanza evidente che siamo circondati da “questa cosa” (materia) ben solida e percepibile senza ombra di alcun dubbio. I nostri sensi sono affascinati dalla solida bellezza della materia che, addirittura, nel corpo umano, raggiunge apici di raffinata eleganza e armonica dolcissima felicità ed esaltato piacere. Possiamo, anzi dire che, per esempio, l’eros procurato nel nostro corpo materiale è la più straordinaria ed affascinante “cosa” che possa accadere in tutto l’Universo delle galassie e delle stelle, degli uragani del mare e dei fiori di Primavera.
            Pare che il suo dominio sulla terra sia assoluto tra gli uomini e le donne: tutto si fa per “amore” e la gioia del cuore: i neuroni plastici di strana materia grigia elaborano tutto questo ed altro ancora.
            Perciò, la Margherita ha tanta ragione da vendere nell'affermare che l’unica sua fede sia nella materia. L’unica realtà è la materia. L’unico modo dell’essere è la materia che, nell’uomo, meteorite parlante, produce addirittura tali forme di piacere da essere considerato come un assoluto.
            Mi concederà la Hack, e cari compagni e compagne, che mi trovo di fronte ad una irrefrenabile, formidabile e simpatica poesia e ad una bella esperienza descritta in modo che non si possa rifiutare. Chi può negare, senza essere deriso, che il sole sorge la mattina di primavera alle ore sei e trenta circa, secondo il parallelo, e tramonta la sera, calando dall’altra parte, alle ore 19,30 circa, secondo il parallelo? Alla barba di Galileo e Copernico e dei loro illuminati seguaci! Se anche la Sacra Bibbia, parola divina, lo conferma con quel “fermati o sole!” di Giosuè figlio di Nun?! Abati e chierichetti vorrebbero sparigliare la poesia dei sensi con quella loro impettita scienza della ragione e della mente o anima, ecc. ecc. La materia è tutto. I sensi lo confermano.
            E l’anima? Solo un’illusione.
            Ma cos’è la materia, si domanda la scienza?


Materia, massa, densità di campo
La fisica dello spazio-tempo

Che significa «credere nella materia». Cosa è la materia

            Mi sembra ovvio chiedersi che prima di affermare che si «crede nella materia» bisogna dire cosa è materia. Solo dopo aver detto cosa è materia io posso affermare che credo in essa senza alcun dubbio. Diversamente io ragionerei come un teologo che dicesse «credo in Gesù Cristo» senza prima sapere se c’è un Gesù storico: fides quaerens intellectum.
            Perciò dire seccamente, come fa la Nostra, di «credere nella materia» equivale a proclamare il mito irrazionale di tale materia. Essa ha tenuto corda, nel gioco della cultura occidentale, per molto tempo. Ma «la Materia così intesa», mi diceva un caro amico, ormai al di là dell’orizzonte degli eventi del cosmo, non è la “Ule” aristotelica priva di forme (materia prima) ma è una specie di gran madre vissuta per tanto tempo nel Mediterraneo. Essa genera, per sua intrinseca potenza e forza, continuamente i suoi figli. E’ la partenogenesi di una Vergine del mito che non ha bisogno dell’apporto di Giove per generare gli dèi e tutto il resto. Il materialismo ed ogni forma di fisicalismo positivista, e quant’altro di genere evoluzionista, come crede la Margù, non attingono il concetto di materia dal sito della metafisica ma da questo mito mediterraneo, e fanno una battaglia culturale enormemente risibile perché  sganciato dalla ragione scientifica ed immersa nel “sacro mito” mediterraneo.

* * *

            I fisicisti, i neuro-scienziati, i positivisti e simili movimenti del cuore in realtà non fanno altro che descrivere le performances di questa cosa qua che è la materia, la massa, la densità di campo, lo spazio-tempo di Einstein. Ma a dire “cosa è” essenzialmente la materia ancora si sta studiando di bello: si cammina per «la strada che porta alla realtà» (Penrose, uno dei più grandi fisici).
            Allora, per la fisica moderna cosa è: materia?
            Le definizioni sono parecchie. Indicano una reciproca affinità che spesso va a finire non nell’ambito di una vera ricerca scientifica, come la meccanica quantistica, nella classica percezione intuitiva (perché è così)  di menestrelli “cattedratici” che discettano di problemi fondamentali della ricerca scientifica senza sentire il bisogno razionale del processo dimostrativo.
            Mi pare che chiamare materia tutto ciò che occupa uno spazio è un bel circolo. E’ proprio questo che noi vorremmo sapere: cosa è questa spaziale massa inerte che ci circonda.
            Lo stesso si può dire della materia come ciò che si tocca, si può prendere a calci, si vede e si esperisce ecc. ecc.[1].
            La meccanica quantistica collegata alla teoria della relatività e della fisica delle alte energie sembra che faccia appannare, nella ricerca contemporanea, questo concetto rigoroso di materia come corposità e massa. L’aver dimostrato (Einstein) che materia è uguale ad energia (compattata?) e che la gravità come proprietà intrinseca di essa è un concetto geometrico spazio-temporale fa pensare chiaramente a “qualcosa” ancora molto poco conosciuta. L’aspetto ondulatorio, le funzioni d’onda, il rapporto materia-campo, la fisica delle particelle elementari o quantistica ci danno un’immagine della materia perfettamente matematica, lontana dalla concezione fisico-chimica classica2. Se poi si aggiunge a tutto questo la scoperta di una realtà subatomica dal comportamento indeterministico, allora il quadro concettuale complessivo fisico-chimico della materia inerte, come sembra, si fa talmente nuovo da intravedere addirittura “epiloghi metafisici” e “sogni” scientifici che attingono campi impossibili nell’epoca positivistico-materialista3.
            Allora, cosa è materia? Pare si comincia a parlare addirittura di “oggetto della metafisica”4, e la metafisica è per eccellenza la scienza del soprasensibile e dello spirito o mente o anima: la ragione non algoritmica! E la “particella di Dio”, ricercata e trovata dal CERN di Ginevra (2011) per sapere se è la fonte della materia o cosa altro?
            Perciò, dire «credo nella materia» è lo stesso che dire: «credo in Dio, Padre Onnipotente…».
            E dello spirito, o mente o anima, visto che se ne parla, cosa dobbiamo dire. Come possiamo salvaguardare la realtà dell’autocoscienza, della mente o anima, dello spirito e del “conoscere”?
            Diceva giustamente Karl Popper che: «l’uomo e il suo spirito non hanno bisogno di apologie. Né la legge della conservazione dell’energia e della quantità di moto né alcun’altra legge fisica, e neppure una probabilità o una propensione, lo hanno portato a costruire le piramidi o a scalare l’Everest. Egli ha raggiunto vette anche più alte nella scienza, nell’arte [nella religione cristiana radice della civiltà moderna] e in molti altri campi».
            Il Popper riconosce che questo epilogo del suo “Poscritto alla logica della scoperta scientifica” è un sogno metafisico, ma di una metafisica degna di questo nome. E l’aspirazione propria di ogni metafisico è quella «di riunire tutti gli aspetti veri del mondo (e non solo i suoi aspetti scientifici) in un’immagine unitaria che può illuminare lui e gli altri: un’immagine più vera». Il criterio è sostanzialmente lo stesso che nella scienza.
            Approvo pienamente questa illuminazione di un vero razionalista che nel suo realismo fa balenare l’idea che, in fondo, la verità è un fatto metafisico, non certo esperibile dalla materia dei sensi…
            Mi sembra abbastanza per dire, in conclusione, alla simpatica Margherita e a tutti i material-positivisti di questo mondo che il loro arrogante abbaglio minimalista non è che una pesante ipoteca per la ragione scientifica. Il materialismo, inteso così, è un immenso… banco di nebbia che, purtroppo, si espande sempre più nelle nostre terre cristiane oscurando la luce che il Logos divino era venuto a proiettare nel mondo per farlo risplendere di giustizia, pace, salute e bellezza. Tutto questo è spirito, mente, anima: altra cosa della materia, senza allusioni a molto improbabili epifenomeni.




[1] Cfr. A.D. Aczel, L’equazione di Dio. Einstein, la relatività e l’universo in espansione, tr.it., Il Saggiatore, Milano 2000, p. 163 ss.
2 Cfr. K. Popper, Poscritto alla logica della scoperta scientifica. III. La teoria dei quanti  e lo scisma nella fisica, Il Saggiatore, Milano 1984, pp. 180 ss. 197 ss., 200 ss.
3 Cfr. K. Popper, op.cit., conclusione.
4 Cfr. J. Hogan, La metafisica delle particelle, in “Le Scienze”, aprile 1994, n° 300. V. Pables, op.cit., pp. 173-79..

mercoledì 14 novembre 2012

Gli intrusi nella terra della conoscenza: anima, linguaggio, romanzi e computers


“Non si coglie la bellezza della rosa dissezionandone i petali”
 (un saggio pellerossa)



Il 17 Settembre 2012 Noam Chomsky, pluridecorato di fama mondiale, teorico del linguaggio e della comunicazione, ha ricevuto  alla SISSA di Trento la laurea “Honoris causa” in Neuroscienze cognitive. L’avrà certamente meritato: l’Università che lo decora riceve un bel lustro.
Un altro importante pensatore, Edoardo Boncinelli, neurobiologo, credo che aspetti qualcosa del genere da qualche prestigiosa Università, magari americana. Il merito sarebbe, finalmente, che si è scoperto che «l’anima è solo un’illusione»            ( Corsera 6.9.2012, p. 41).
Infine Ken Follett, esimio romanziere, si appresta ad incassare una collina di soldi per l’ultima storia romanzata: L’inverno del mondo. Egli afferma (Corsera “Sette” 7.9.2012, p. 32) di non essere per niente religioso, di non credere in Dio o nei segni del destino, e in tutte le superstizioni. «Le domande brucianti sul senso della vita» - confessa a E. Vigna, giornalista che lo intervista – «hanno avuto risposta nella mia gioventù, durante gli studi universitari di filosofia e, perciò – glissa – non avrei nulla di cui parlare col Papa, col Dalai Lama o con l’ayatollah Khamenei».
Sono tre figure diverse: un romanziere, uno studioso del linguaggio e un filosofo della mente. Ma la proprietà che li accomuna, in modo primario, è già dichiarata dal Follett: nessun credo religioso è la scelta culturale decisa nella propria formazione giovanile. Tale decisione li giustappone tutti, in modo ideale e romanzesco, nella più dignitosa scienza che definiamo non-euclidea: da principi affatto acclarati si procede verso la costruzione di varie scienze speculative e romanzi empirico – pragmatici.
Infatti, quando si dice che «l’anima è solo una illusione» e si colloca il ragionamento nel campo minato della «scienza che supera il dualismo tra la mente e il corpo» (Boncinelli) allora è parecchio chiaro di che scienza si tratti. E quando si discetta nel romanzo: Quel che resta dell’anima di «nozioni confuse e inverificabili che conducono al fiorire delle mitologie passate e presenti» sull’anima, allora il bel racconto è ben servito. E che dire poi se queste nozioni confuse «ci trascinano in una nebbia di frasi fatte (sottolinea mia) e pregiudizi (…) che attivano in noi reazioni immediate e poco razionali»?
Cosa è una nebbia di frasi fatte? Eccola: ciò che è inverificabile, una mitologia passata e presente, nozioni confuse, superamento di un credo religioso e infine, un’anima iperuranica…
Una frase  fatta significa confezionata senza alcun rigoroso “criterio di senso” e senza alcuna logica scientifica. E mi pare che la disamina che si fa in quel romanzo per sapere cosa resta dell’anima, nella sua nozione platonica, manifesta una enorme catasta di frasi costruite e fatte dalla raffinata e pressappochista platonico-mitologica neurofisiologia moderna. La dimostrazione è che tutti gli scritti dei ricercatori della disciplina  suddetta dicono le stesse cose copiandosi l’un l’altro con linguaggi spesso veramente raffinati.
Perciò, chi continua a dire certe cose sul problema dell’anima o mente o psiche o che diavolo sia è appaiato, e rigorosamente allineato, alla fraseologia di enunciati della tradizione neoplatonica, religiosa, ascetico-giansenista che in Sant’Agostino, come sottolinea nel romanzo lo stesso autore, ha trovato la sua esplicita radice. Le frasi fatte nella nebbia di corposi pregiudizi sono, perciò, prerogativa non certo della scienza genuina che sempre si rinnova, ma di romanzesche scritture confezionate da abili scrittori per il gran pubblico di scettici bigotti. Di tutto ciò ne è chiara espressione la grande gaia confusione che si fa sul tremendo problema dell’anima. Le «nozioni confuse e inverificabili» sono, per esempio, quelle che riguardano i rapporti tra la scienza e le fedi religiose. Infatti i contenuti delle fedi religiose, appunto perché credibili e «riposanti» ma ovviamente senza esperienza, non hanno nulla a che spartire con la ricerca scientifica, e viceversa. Una scienza che vuol mettere naso negli enunciati di una qualsiasi fede religiosa rischia il ridicolo di navigare in un mare alieno. Come una fede religiosa che voglia immischiarsi, come ai tempi di Galileo, in problemi della scienza precipita nella trappola dell’incompetenza.
Quando Joseph Le Doux, neuroevoluzionista di grido, a proposito dell’identità di ognuno di noi, dice: «tu sei le tue sinassi» ( canali vuoti tra elementi del cervello) e quando aggiunge, con allegra ignoranza, che Tommaso d’Aquino «credeva [….]  che il corpo resuscitasse e fosse ricongiunto all’anima nel Giorno del Giudizio», appaiando detti discorsi con la teoria antropologica tomasiana che sostiene che: le qualità intellettuali immateriali della mente garantiscono l’immortalità dell’anima, fa vedere che su questi argomenti deve imparare ancora parecchio prima di discettare con sufficienza e poca serietà scientifica. Quelli sono argomenti della fede e della scienza teologica e non dell’antropologia filosofica tomasiana come psicologia. Dice giusto lo stesso S. Tommaso, che studiò bene questo strano ed ingarbugliato rapporto, che: voler provare la fede con argomentazioni prese in prestito dalla ragione umana si rischia il ridicolo (Summa). In questo contesto il termine “fede” vale per i due campi del sapere e nei due versi: scienza e fede.
Spesso la ragione filosofica e scientifica ha le sue intuizioni fideistiche: la fede laica; oggi è sorta anche la morale laica. Esse, però, rischiano il ridicolo della contraddizione e il flop dell’antinomia. Infatti siamo alla presenza di una fides laica che invoca, guarda caso, una comprensione di stampo aristotelico cioè un empirismo più genuino di quello moderno (William James) o come si esprime Hillary Putnam: Aristotele dopo Wittgenstein.
Ma già ne abbiamo conferma dal gran fisico-filosofo Roger Penrose quando scrive, per esempio, che: «la nostra fede nel sistema dei numeri reali è stata ricompensata». Questa fede laica però raggiunge, di fatto e molto spesso, il fondamentalismo, il più razzista che si possa immaginare: quello dello scuro pregiudizio immobilista e discriminatorio. Ormai è da più di un secolo che sentiamo le lagne evanescenti empirico-positiviste e logico-empiriste, come a dire: la logica è il prodotto dei sensi attivati e circuminsessi dai neuroni cerebrali, e viceversa.
Ho sottomano un ilare e gaio discorso fideista di un bimestrale di scienze:         “ darwin” [sic] popolarizzato da uno che si dichiara, credo, scienziato, e che vuole discutere di «matematica e geometria della coscienza»: parole forti. Colà si afferma che: «per la prima volta una teoria scientifica prova [tenta] a spiegare come il caleidoscopio delle esperienze nasce da un pugno di materia grigia». Suppongo che questa materia grigia sia il cervello con la sua misteriosa corteccia che sembra produrre tutte le nostre belle esperienze, compresi gli stati mentali. E’, certo, una teoria, e quindi «essa non equivale ad una spiegazione. E tanto meno a una spiegazione in termini di leggi esprimibili matematicamente, come in fisica» (Anno 1, n. 4, (2004), pp. 36-38). Non riesco a capire a quale tipo di scienza appartenga tale teoria: mi informerò con Gödel.
È spiegato così il folle declino dogmatico della sapienza occidentale. Di queste condizioni culturali, immerse «in regioni prelogiche (…) ambigue, polisemiche, fino a considerare mistico ciò che è spesso solo confuso e contraddittorio», da parte di piccoli e saputelli personaggi che galleggiano nel mondo della ricerca scientifica, ne è piena zeppa tutta la terra nel chiaro soffocamento della verità. Il paraocchi fideista è appaiato all’arroganza e al dogmatismo della condizione psichica di molti scienziati. Essi, molto spesso, prendono in prestito dal Medioevo teologico, paradossalmente ed il modo inconscio, l’anselmiano credo ut intelligam io credo perché possa capire. Ma al posto della fides  (credo) «magica e religiosa» nel Cristo Risorto da morte sicura, si è sostituita la fides nelle dogmatiche subiettive e categoriche di parecchi processi scientifici affatto acclarati da prove apodittiche. Soprattutto si è rimpiazzata una profonda isterica avversione a Dio e al suo Cristo. Da lì poi si è proceduto, senza severa dialettica o alcun dignitoso e solido passaggio di rispetto della scienza e della logica e della ricerca scientifica, alla comprensione razionale (illuminismo) dei medesimi contenuti fideisti: un’autentica scienza non-euclidea che fa a meno di chiarificare i propri principi; altro che «pulizia semantica»!
Fin qui riconosco che il mio discorso è solo una semplice opposizione, molto epidermica, alle varie esposte osservazioni. Per andare in profondità nella discussione veramente scientifica dei problemi e dei grandi interrogativi sull’anima o mente o che diavolo sia, bisogna avere la pazienza di andare a consultare il mio: L’anima e i suoi prodotti. Da Darwin giurassico a Platone celeste, Editrice Domenicana Italiana (EDI), Napoli 2011, pp. 380. Lì si dipanano, con rigorosa pazienza ed attenzione, tutte le discussioni scientifiche che cercano di sapere cosa è  anima e il suo primo divino prodotto che è il linguaggio.
L’aver privilegiata la teoria aristotelico-tomasiana dell’anima “forma” del corpo umano significa solo far scendere dall’Iperuranio platonico e salire dagli Inferi della materia meteoritica una nozione di uomo che è semplicemente una grande misteriosa sintesi (unicum).
Le due realtà: anima-corpo, cervello-mente non sono altro che l’uomo, un vero meteorite parlante, un “essere” sintesi, un unicum. Questa mia carne con la sua sublime struttura biologica è qualcosa di spirituale: un Io, un’identità in un ammasso di cellule continuamente cangianti e profondamente rinnovantesi. Il corpo che oggi noi portiamo in giro non è più quello del bambino di molti anni fa. Questo mio cervello, carne muscoli ed ossa, non è affatto la struttura biologica di allora. «Se si stesse a sottilizzare sulle cellule, Dio sa che cosa è cambiato da allora ad oggi» (Umberto Eco, Kant e l’ornitorinco, 1997, p. 281). Così anche questo mio spirito, o anima o mente è profondamente carnale quando percepisce la gioia e il dolore, il piacere e tutti i bei gusti dei frutti di natura.
Mi pare, perciò, che sia proprio questo «inconoscibile mistero» (Dio sa) del cambiamento fisiologico-cellulare che sta a indicarci, con forza, l’esperienza concreta della nostra propria identità, pur nel cangiamento totale e irriconoscibile del mio corpo e della sua struttura cellulare, atomica e subatomica, che lo compongono.
E mi sembra che sia il momento di dichiarare una messa al bando di ridicoli discorsi positivistico - scettici, illuminati da una ragione nichilista che sta ancora a battere indefessamente l’acqua nel mortaio di viete e fasulle teorie psicologiche che tendono al basso. È necessario un rinnovamento culturale che faccia della concreta ricerca scientifica, senza orpelli di condizionamenti sociali logico-positivisti e neuropsichici di maniera, una regione pacata che ricerca solamente la verità dell’essere che siamo. Perchè essa, la verità, è una ragione metafisica, non certo sperimentabile con i sensi: il sole non gira, checché ne dicano i sensi e gli Inquisitori contemporanei, razzisti e vendicativi, carichi di spiegazioni magiche e  iperreligiose. E’ questa fantastica palla celeste che gira come una trottola, nel segno della stabilità, che abbraccia la splendida stella che è il nostro sole; alla faccia dei sensi.

***

         E Noam Chomsky, ormai super decorato e laureato col suo linguaggio «precipuo» prodotto della mente? Ken Follet super romanziere e le sue pagine di bei racconti di un mondo onirico e senza Dio?
         Di Chomsky, e delle sue molteplici simpatiche teorie linguistiche, si dice che «bisognerebbe pubblicare un libro al mese poiché egli modifica le sue teorie con cadenza pressoché mensile!» (F. Fabro, Il cervello bilingue,1996, pag. 235). Una delle tante sue teorie, elaborate assieme ai colleghi supertecnologi dell’Istituto di Tecnologia del Massachusetts (MIT), è chiamata «minimalismo; Governement and Binding»: la struttura mentale e neuronale (cervello) che riguarda il linguaggio è solo un piccolo modulo “ultra ristretto”, ma dalle caratteristiche di assoluta efficienza (…) che permette il formarsi “logico” e distinto del linguaggio sintattico nei lobi del cervello, per poi uscire nella fonazione e nella comunicazione.
         Il discorso del Nostro, evidentemente pre-scientifico, tende al basso, perché «non c’è niente di mistico nello studio della mente come studio dei meccanismi [biochimici] del cervello a un livello astratto (…). Il mentalismo contemporaneo, col suo “stato funzionale” (…), è un passo avanti nell’assimilare la psicologia e la linguistica alle scienze fisiche» (Linguaggio e problemi della conoscenza, 1991, p. 10).
         Il linguaggio sarebbe, quindi, per tanti studiosi moderni «la caratteristica precipua dell’uomo che lo distingue dalle macchine (di Turing ?!) e dagli animali: una facoltà che gli deriva dal suo organo più sviluppato, il cervello, e che permette all’uomo di pensare, di generare idee e di esprimerle». E più  avanti, quando sarà passato, forse, un mese, scrive: «Nel corso della storia della scienza moderna ci sono stati tentativi di dare risposta a domande che oggi ci sembrano superate come, per esempio, la possibilità che esista una materia pensante» (Discorso per l’honoris causa, 2012). Mi domando: allora l’uomo cosa è: un angelo? O forse un meteorite che parla senza pensare? Tutto superato…
         Il discorso di Chomsky pare che dica: queste sono le teorie che oggi circolano negli ambienti della ricerca scientifica rigorosamente positivista ed empirista. Io, però, mi permetto di star sospeso, non facendo tifo per nessuno, ma tendendo verso il basso della fisica (materia) e della biologia (cervello): obiettivismo fisicista. Diceva giusto Baget Bozzo: «vien da sorridere! Se vi è una categoria che ha tenuto corda nel gioco in tutto questo periodo (XX secolo) è la Materia. Ma la Materia che non è la Ule aristotelica priva di forme [materia prima] ma è la madre mediterranea che genera, per sua forza, continuamente i suoi figli. Il materialismo riprende il suo concetto di materia dal mito e non dalla metafisica».
Ecco, quindi, il gran pregiudizio materialista dilagante per tutto il XX secolo ed oltre per cui tutto si spiega dal basso, cioè dalla struttura dell’evento. Ma è proprio dalla fisica che viene il colpo decisivo al mito della materia onniprovvidente: dalla quantistica con il suo principio di indeterminazione e dal flop del principio evoluzionista ormai scopertosi una grande oscena teoria che fa litigare, di bello, gli stessi suoi cultori (cfr. Edelman-Dennett).

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         Con quanto detto non penso di aver spiegato granché né di aver dato argomentazioni efficaci per ridimensionare e battere il mito materialista addolcito con positivista, fisicista, ecc.). E neppure suppongo di aver fatto buona luce sull’equivoco dilagante delle neuro-(scienze) non-euclidee: me ne guardo bene. Ma, per cercare di capire, da diversa saggia angolazione, la prosopopea ostinata del “gran sviluppo delle neuroscienze che hanno reso finalmente ingombranti e superflui” le nozioni sull’anima e suoi prodotti, primo il linguaggio, invito eventuali lettori a sfogliare il mio: Linguaggio e comunicazione,  manifestazioni primarie della conoscenza, Editrice Domenicana Italiana (EDI), Napoli (prima di Natale) 2012, pp. 180 circa. Grazie!
E di Ken Follett e dei suoi vivaci romanzi nei quali non si fa mai il nome del Padre Eterno e del suo amato Figliuolo  Gesù Cristo? Come se nel mondo che lì si descrive, con mano esperta, non vi prosperassero miliardi di persone che vivono la fede. In quei libri, tra fantasia e storia, avviene come se la civiltà occidentale, inarrivabile e splendido prodotto del cristianesimo, non fosse la concreta manifestazione del discorso del Cristo che lascia questa terra: «Voi, miei discepoli, farete cose più grandi! di quelle che ho fatto io» (Cfr. Vangelo di Giovanni, Cap. 14, v. 12).
Perciò, cari amici, tutti quanti, che vi credete dominatori del sapere del mondo moderno dal quale traete abbondanti buoni guadagni andando in giro a suonare chitarrine e manovrare i testardi pupi dell’opera, trovate un po’ di pazienza per leggere qualche puntuale pagina di scienze dell’umanità. Siete pregati anche di sbarazzarvi, se ce la fate, degli irresponsabili deprimenti pregiudizi che nella vostra prima forte «formazione universitaria» avete ricevuto da spregiudicati filosofi (si fa per dire) fioriti nel seno del deserto illuminista. Come quel tale Tribbechovius (1719) che rimproverava alla Scolastica di essersi posta a servizio della teologia papale [Papaeae (sic)] o i facili motteggi deficienti di Rebelais, Locke, Fr. Bacon, Cartesio (!) riproposti in modo sfacciato anche nel mondo moderno che, ignorando le luminose scoperte del grande sapere medioevale, ne decretano la notturna millenaria durata.
E così chiudo questo mio breve discorso in attesa che qualcuno se ne accorga e… risponda. Grazie!
                                                        p. Antonino Stagnitta

Palermo 28 settembre 2012

Un Blog aggiornato ed interattivo

Caro Lettore,

nella speranza di farti cosa gradita ti informiamo che da oggi il blog  "Nuovissima Scolastica" sarà aggiornato con una frequenza periodica più dinamica, invogliandoti con i suoi contenuti a renderlo "partecipato": "interattivo" per l'appunto.
Per cui oltre alla lettura non limitarti nel commentare, porre domande o condividere con tutto il mondo della rete le tue considerazione su quanto qui troverai condiviso.
La tua partecipazione è gradita, anzi necessaria.
Con la certezza che ci ritroveremo presto ti saluto

Marco Strano
Amministratore del blog

lunedì 16 luglio 2012

PREMESSA TRA NOI “TEOLOGI” / di A. Stagnitta

Scrive Andrea Galli su “Avvenire” (27/6/12, p. 23) che alcuni illustri studiosi teologi (Michael Heller, Giuseppe Tanzella-Nitti, Gianfranco Basti, e chissà quanti altri) hanno fortemente «denunciato uno iato fra mondo della teologia e delle scienze» moderne.
Come non si può essere d’accordo.
I teologi moderni non hanno saputo fare ciò che, a suo tempo, fece Tommaso d’Aquino e tutta la Scolastica post-tomasiana.
            Questa bella lagnanza mi sembra però che abbia uno strano sapore autoreferenziale di vecchia accademia: Accademia Pontificia delle Scienze, Università Santa Croce, Università Lateranense, et cetera similia. Queste pontificie entità sono dirette da professionisti che nei loro curricula avrebbero dovuto avere non solo una vasta cultura pregressa, sacra e profana, ma soprattutto mostrare di conoscere gli avvenimenti culturali più importanti degli ultimi decenni in campo scientifico e religioso (teologia, filosofia, ecc.).
            Mi sembra, da quel che leggo, che questo non sia avvenuto. Infatti mi sovviene il ricordo di un testo recensivo che il caro indimenticabile amico, don Gianni Baget Bozzo, pubblicava dieci anni fa su “Avvenire” (11 Aprile 2002, idee/2). Gli avevo timidamente omaggiato un mio studio sull’«Anima e i suoi prodotti, Armando, Roma 1999» dopo aver letto una sua lamentela che in ambito cattolico si trascurava questo gran tema.
            La risposta è stata fulminante. Quella di uno straordinario uomo di cultura e di saggezza che si era trovato sorprendentemente dinanzi ad un testo impegnato ed originale. E titolava: «La teologia dinanzi alla materia. Anche i quanti [le particelle elementari della fisica] hanno l’anima». “L’anima e i suoi prodotti” intendeva, ovviamente, i quanti del corpo umano nella teoria tomasiana dell’anima “forma corporis”.
            La riflessione di don Gianni si attardava nell’indicare «un limite del pensiero cattolico a metà del secolo XX che aveva voluto fare i conti soprattutto con le scienze storiche e la Scrittura piuttosto che con le scienze fisiche». Ed aggiungeva, con quel suo fare tagliente e profondo, che «se vi è una categoria che ha tenuto le corde del gioco in tutto questo periodo è la Materia. Ma la Materia – incalzava don Baget con piglio filosofico di classe – non è la ule aristotelica priva di forme (materia prima) ma è la “madre mediterranea” che genera, per forza sua, continuamente i suoi figli [evoluzionismo]. Il materialismo riprende il suo concetto di materia dal mito e non dalla metafisica».
            E continua, applicando, che «da ciò è nato il pregiudizio materialista [e positivista] per cui tutto si spiega a partire dal basso, cioè la struttura dell’evento».
            Di seguito, il Nostro sottolineava il fatto che tale concetto pregiudizievole «ha pervaso anche le scienze e, quindi, l’esegesi biblica». E, per non restare nell’indeterminato, il compianto don Gianni si meravigliava sapientemente di poter finalmente leggere, nell’omaggio del mio “L’Anima e i suoi prodotti”, qualcosa che superava questo «iato fra mondo della teologia e delle scienze» già riportato (Heller, Basti, Tanzella. Di esser lieto di trovarsi di fronte ad un «raro metafisico classico che ha risciacquato i suoi panni nella scienza moderna ed ha trovato in essa le vie della metafisica».
            Scendendo, nell’analisi del libro, ancora più in profondità, egli sottolinea con forza che si è finalmente capita «la potenza antimaterialista del principio di indeterminazione [Heisemberg] e della fisica dei quanti, e che dalla fisica veniva un colpo decisivo al mito della materia onniprovvidente» (materialismo, fisicalismo, evoluzionismo e cose del genere).
            «Il merito di questo raro e sconosciuto metafisico (p. Antonino Stagnitta O.P.) e del suo libro di prodotti dello spirito, è quello «di aver ristabilito un rapporto tra la metafisica platonico-aristotelico-tomista e le scienze dell’umanità [fisica, psicologia, paleontologia, neurologia, matematica, logica…]: questo è un buon punto di partenza per ricostruire un pensiero cattolico». E don Baget sorride calorosamente: «lo stile dell’Autore è pungente ed ironico e lo esercita soprattutto contro gli evoluzionisti alla ricerca del canone [anello] mancante come Sherlok Holmes alla ricerca degli indizi, sempre sulla base della materia onniimpulsiva».
            L’analisi di don Gianni del volume sull’Anima, il cui primo prodotto è il linguaggio, fa notare come «il principio di indeterminazione [della fisica quantistica] avrebbe dovuto rendere pensabili ai biologi il salto, cioè il principio di discontinuità che è il principio creatore. Ma, come dice lo Stagnitta [misterioso autore di quest’Anima e i suoi prodotti, EDI, Napoli 20112], essi sono destinati a cercare un gru [sic!] in cielo».
            Continuando, il nostro gran maestro relatore fa ancora osservare che «qui si riprende tutta la verità della forma corporis tomista, stabilendo ad un tempo l’immanenza e la differenza, la continuità e la discontinuità della struttura e della res, del principio ordinante e della realtà organizzata. Ciò permette di fare economia di tutte le strade che imboccano al caso o alla eliminazione del problema dell’ordine del mondo e della vita della ricerca razionale».
            L’indimenticabile don Gianni conclude esprimendo uno speranzoso desiderio: «Spero che i lettori capiscano l’importanza di questo libro per la razionalità della loro fede». Egli si permette di dare ai teologi un consiglio, da gran maestro qual era: essi devono sottrarsi all’amplesso nichilista della filosofia europea e ritrovare il contatto con la realtà quale le scienze fisiche e biologiche oggi le offrono. Ed, aggiungo io, far capire agli “scienziati” che debbono riscoprire una virtù che fu già degli Scolastici: “sapientia humilitatis splendor, l’umiltà. Credo che già qualcuno dei più grandi fisici moderni, il Penrose, abbia imboccato decisamente questa via, lasciando la saccenteria alle elucubrazioni dei micro-scientisti che popolano le esangui Università europee. Ne è limpida prova il titolo ed il contenuto del suo poderoso libro (1085 pagine): “La strada che porta alla realtà. Le leggi fondamentali dell’Universo” (per Rizzoli, 2005). Nella “Prefazione” si dice, fra l’altro, che «lo scopo del libro è trasmettere al lettore la capacità di apprezzare uno dei più importanti ed eccitanti viaggi di scoperta che l’umanità abbia mai intrapreso: la ricerca dei principi fondamentali che reggono il comportamento del nostro Universo. E’ un viaggio che dura da circa tre millenni e mezzo (…). Esso, però, si è mostrato estremamente difficile e, nella maggior parte dei casi si è arrivati ad una reale comprensione della Natura soltanto lentamente. Questa difficoltà intrinseca (sottolinea mia) ci ha condotto verso molte direzioni sbagliate: dobbiamo quindi imparare a essere cauti».
            Don Baget Bozzo ricorda, con commozione, Tommaso d’Aquino che fu il maestro più apprezzato, a Parigi, nella facoltà delle arti, le scienze di allora (sec. XIII). Egli suggerisce a tutti noi di «seguire l’esempio del maestro».
            E mi pare di poter francamente dire che il lavoro di decenni delle mie solitarie e misconosciute ricerche sono andate in questa precisa direzione per una convinzione mutuata dalla strana scelta mendicante e laicizzante del giovane conte longobardo Tommaso. Egli al seguito di Domenico e della sua “santa greggia ‘u ben s’impingua se non si vaneggia”, ci ha ancora una volta illuminati e sorretti col magistero di Papa Ratzinger che, nella sua “Deus caritas est” (2006), ci ha indicato la strada che porta alla Verità tutta intera.

INTRODUZIONE E PRELUDIO PER UNA EVENTUALE SUMMA CRISTIANA / di A. Stagnitta


Una Summa cristiana nella terra dei Gentili si propone di gestire rigorosamente il processo scientifico per discipline che vogliano dirsi razionali. Esiste, infatti, oggi una terra dei Gentili che, in nome della scienza, vuole proporsi come unica realtà culturale che governa il mondo e le sue prerogative fisico-antropologiche. Gli attori di questo particolare territorio epistemologico affermano decisamente che, per loro, ogni manifestazione umana che produca un fenomeno religioso qualsiasi (fede) è un’incomprensibile alienazione. E’ chiaro il ritorno di Marx e Feuerbach: «i predicati di Dio sono riconducibili a quelli dell’essenza umana»: una proiezione.
            Quest’atteggiamento ostile di un nuovo ateismo (new atheism) sembra privilegiare un retrocedere verso filosofie ed epistemologie ottocentesche e tardo-hegeliane che hanno prodotto e dominato, da sinistra, il mondo della cultura e dei saperi parascientifici del recente passato. Il pre-scientifico è stata la caratteristica delle avventure ottocentesche e del primo novecento della cultura positivo-materialista. Essa ha portato ai disastri nazi-comunisti e al diffondersi molto gaio della “fede” illuminista, vera splendida alienazione: caratteristica di «cominciamenti senza presupposti».
            In questo giardino culturale fascinoso e popolare contemporaneo si individuano facilmente mentalità e saperi decisamente fondamentalisti in parallelo col fondamentalismo fideistico creazionista che niente ha a che vedere con la ricerca scientifica.
La Bibbia cristiana (Genesi) dice una cosa molto semplice, di natura didattica, per le popolazioni post-preistoriche: che esiste un Creatore (Dio) che, dal nulla assoluto, ha fatto tutte le cose che vediamo ed esperimentiamo con la conoscenza intellettiva ed empirica in senso profondamente aristotelico. La Sacra Scrittura non dice per nulla come Dio ha fatto queste cose. Non si crederà, ovviamente, che centinaia di seri studiosi e specialisti, del testo e delle tradizioni bibliche, severi e colti di ogni genere, accolgano letteralmente, per esempio, il pupo di fango o il soffio della vita con la costoletta di Adamo protobatterio e di Eva mitocondriale. Credere ad una cosa del genere, da parte di questi filosofi naturalisti, significa solo il ridicolo della scienza e della filosofia.
            Si parlerà ampiamente su questo interessante equivoco e “pericoloso” tema sull’origine della vita e dell’universo. Siamo consapevoli e fortemente convinti che i nuovi atei utilizzino, nei confronti dei credenti, un sapere fortemente razzista e scientificamente depauperato dai grandi principi della filosofia. Mi viene in mente una lapidaria e secca espressione del gran filosofo americano Hilary Putnam: «Aristotele dopo Wittgenstein» (Words and life, 1994).
            E, per non andare per funghi, dirò che l’espressione, ormai ricorrente negli scritti di molti improvvisati filosofi e apologeti dell’assenza di Dio, che: “l’essere coincide con la Natura cosmica”, è una magnifica bufala. Si confonde la logica con l’ontologia (cfr. Russel a proposito del concetto di sostanza da lui scoperto nella teoria dei tipi).
Vedremo anche questo molto gaio discorso dei nuovi atei che, nel mortaio, vogliono pestare l’acqua dello stagno. Circola anche un interessante enunciato che sintetizza ed esprime, in modo veramente brillante, la carenza cognitiva dei temi più noti e maturi delle scienze della logica: «la natura è la totalità del reale» (Comte – Sponsille, Lo spirito dell’ateismo). Certamente: la natura è la totalità del reale, ma l’espressione è simile a quanto si legge nello stesso testo, che: «l’insieme (la Natura) di tutti i punti di vista», come l’insieme o classe dei bicchieri non è un bicchiere.
Perciò, in un contesto severamente logico-matematico (teoria degli insiemi e delle classi), la Natura non è parte del reale. Vale a dire che il concetto di “Natura”, come totalità (insieme) degli enti universi, è un concetto logico, affatto ontologico, reale. La Natura, quindi, non è parte del reale e, perciò, non esiste. Ma se la Natura non esiste, se non come concetto logico (un vecchio universale “predicabile”: il genere), come si può affermare impunemente che «lo spirito (umano o divino) è un suo risultato o prodotto più interessante, spettacolare e promettente»? Il nulla non produce l’essere, è niente: stoltezza di uno stupido paradosso.
            Qui i testi dei vari autori che trattano, con serioso piglio, il tema dell’ateismo si fanno poesia, lirica, ascesi, mistica. La scienza viene dolorosamente esclusa dalla riflessione sul gran mistero del «perché l’essere anziché no». Essa viene, altresì, scartata da una certa ragione filosofica che conduce, con poetica allegrezza, i grandi problemi su cui, sin forse dalla preistoria, l’umanità tutta si è confrontata. I miti biblico-platonici, il poema lucreziano e virgiliano sono, in fondo, un onesto e intelligente sforzo, in carenza di conoscenze scientifiche consolidate dall’esperienza dei secoli, per cominciare a spiegare una montagna di enigmi e quesiti che l’umanità si è sempre posta.
            Voler interpretare il sapere e la riflessione del passato aristotelico-scolastico come un orribile fideismo integralista è semplicemente un’enormità mistificatoria. Si possono, certo, convincere i popoli, come ai tempi del mito, sfruttando l’analfabetismo imperante sui grandi quesiti dell’esistenza, ma non si può pretendere di passare inosservati dinanzi alla tribuna di chi ha logorato la propria vita nella ricerca scientifica e nell’uso forte della ragione senza illuminazioni più o meno fideistiche (Anselmo). Se la mia intelligenza deve essere considerata in termini esclusivamente naturalistico-evoluzionisti, senza alcun fondamento seriamente scientifico, allora veramente tutto ciò «non ha alcun senso»: Wittgenstein docet! Che il nostro Odifreddi scriva che «l’unica vera religione è la matematica e… la scienza [e la logica?]», e che al di là dell’orizzonte degli eventi non esiste alcuna trascendenza ma c’è solo superstizione, allora siamo al capolinea della razionalità.
            Il fanatismo illuminista è peggiore del fanatismo delle religioni. Perché, mentre quello religioso è un bubbone malato della fede, quello laico-fisicalista è semplicemente la rinuncia a ogni razionalità che invece ha caratterizzato la storia dell’umanità dai Presocratici ad oggi. Pretendere il contrario, con piglio parascientifico, significa proprio l’arroganza di una cultura monocratica con profili nettamente teocratici illuminati a parabbuddisti.
            Perciò prima di cominciare il nostro discorso che ci riporti sul genuino piano della filosofia e della scienza, con un dibattito libero e dignitoso al di là degli insulti ideologici verso miliardi di credenti delle varie fedi, eccoci con una litania di temi da trattare nella eventuale Summa.

UNA LITANIA DI PROBLEMI

“Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo”.
(Paolo Apostolo ai credenti di Efeso, 1,3).

  1. La “NATURA” come classe logica. L’equivoco o il vero senso del “Deus sive Natura” di Spinoza e dei moderni fisico-ateisti e monistico-positivisti.
  2. L’uomo e il suo “conoscere”: un meteorite parlante.
  3. L’anima e i suoi prodotti.
  4. Primo assoluto prodotto: il linguaggio.
  5. Cosmologia – Spazio e tempo: Eternità.
  6. Origine della vita sulla terra celeste, palla turchina nell’Universo di fuochi galattici.
  7. La fede cristiana come Rivelazione di Dio e la filosofia come discorso razionale sulle sue proposizioni (Teologia): fides quaerens intellectum (S. Anselmo, Abelardo…).
  8. L’etica razionale e la morale cristiana. Le virtù morali e soprannaturali.
  9. Il Sacramento del Mistero di Cristo, il Risorto da morte sicura.
  10. Il dialogo rispettoso con i non-credenti alla ricerca comune della Verità a mezzo della ragione scientifica. Nessuna prevaricazione astiosa delle parti.


II. “LA DISTRUZIONE DELLA DISTRUZIONE DEI FILOSOFI” (AVERROE’)

«Tardi ti ho amato, o bellezza così antica e così nuova,
 tardi ti ho amato! Ed ecco che tu eri dentro ed io fuori, 
e lì ti cercavo (…). Ahimè! Abbi pietà di me, Signore (…). 
Guai alle prosperità del mondo».
(Sant’Agostino, Confessioni 10, 26-37-29, 40: CSEL 255-256).


Il fenomeno del “Nuovo ateismo”, che dilaga in tutta Europa tra le nostre “deboli” popolazioni giovanili, mi sembra un fatto di natura psicologica. Ho forte impressione che la filosofia e, a maggior ragione la scienza, qui non hanno campo. La stessa ragione illuminista, da cui sembrano scaturire questi bei discorsi, pare suggerisca a tanti portatori sani di tale dissoluzioni che, molto probabilmente, hanno smarrito, per strada, la stessa via della ragione; forse l’hanno superata ed emarginata. Costoro possono benissimo essere chiamati: post-illuministi.
            L’aver smarrito la via significa aver smarrito la ragione per rifugiarsi in tale furore fideista che quello dei credenti di tutte le fedi religiose, al paragone, è un fenomeno rigorosamente razionale, anche se non-euclideo. Il perché di tutto ciò è facile da trovarsi: leggendo le loro belle pubblicazioni e i loro ben congegnati libri si ha la chiara sensazione che, con un raffinato linguaggio moderno e, spesso, con polemica ironia, sciorinano discorsi assolutamente scorretti. A volte, essi sono offensivi dal punto di vista filosofico e scientifico. Dire, per esempio, che professare una fede religiosa «è una minaccia per l’umanità e un integralismo da estirpare dalla faccia della terra», significa chiaramente costruire una sorta di moderna Inquisizione[1]. Perché, “estirpare” può benissimo significare per i credenti una shoah al modo nazista o un repulisti al modo leninista o cinocomunista, oppure, in fine, una drastica emarginazione dalle cattedre universitarie, dai centri di ricerca (cfr. C.N.R.: Pievani contro De Mattei)[2] e simili espulsioni e roghi da braccio “secolare”.
            Simili scomuniche, fanno emergere, in chi fa filosofia, un sentimento di orgoglioso puntiglio: dissolvere tale nebbia mentale con la scienza della logica, con la dialettica delle scienze antiche e moderne, ed, infine, con la testarda amministrazione di un sapiente “Io” contro ogni prevaricazione materialistico-positivista.
            Ed è proprio quello che ci proponiamo di fare orgogliosamente in una «Summa cristiana nella terra dei Gentili prevaricatori della ragione». Le nostre argomentazioni non saranno «irrefrenabili impulsi» di aggressive teorie fondamentaliste e fideistiche, stile nazionalsocialiste e marxo-leniniste del secolo che fu. Le nostre controproposte rivestiranno la funzione di pacati ragionamenti che «sovvertiranno» nel nome della scienza e della logica, di averroistica memoria, «la [supposta] distruzione della distruzione dei filosofi» (Tahafut al-tahafut).
            E perciò il primo nostro discorso riguarderà il pluriblaterato termine e concetto di “Natura” che produce equivoci trancianti e senza senso. Nel tentativo di sostituirlo con un Dio, o Caso o Necessità, o che diavolo sia, si cade nel terreno, molto friabile, di un’esperienza di trascendenza che sotto le righe è implorata nell’atto stesso di negarla. Vedremo.


[1] Cfr. S. Harris, La fine della fede. Religione, terrore e il futuro della ragione, tr.it., Nuovi mondi media, San Lazzaro di Saverna (BO) 2006; F. Odifreddi, Caro Papa, ti scrivo…, cit.; R. Dawkins, L’illusione di Dio, Mondadori, Milano 2010; Comte – Sponville, Lo spirito dell’ateismo, Ponte alle Grazie, Milano 2007 (dove si usano, per chi crede, termini come “imbecille” e simili).
[2] Cfr. il Giornale, quotidiano, 28/11/09, p. 36: «Roberto De Mattei vicepresidente del CNR, riferisce un tale Telmo Pievani firma un articolo contro il «convegno antievoluzionista» organizzato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche. Il suddetto si dice molto preoccupato, perché il CNR sta facendo «perdere la faccia al nostro paese» e, riferisce il De Mattei, che si vuol «colpire con l’epurazione» chi non aderisce ai dogmi darwinisti». E conclude: «il mondo scientifico del XX° secolo ha già conosciuto regioni in cui si è adottato questo sistema».



Recensione all'"Anima nell'universo della Galassie"

Recensione all'"Anima nell'universo della Galassie"
Recensione del p. Francesco Cultrera s.j. al saggio sull'"Anima nell'universo delle galassie": La Civiltà Cattolica, 166/4 (2015), pp. 302-303