lunedì 16 luglio 2012

PREMESSA TRA NOI “TEOLOGI” / di A. Stagnitta

Scrive Andrea Galli su “Avvenire” (27/6/12, p. 23) che alcuni illustri studiosi teologi (Michael Heller, Giuseppe Tanzella-Nitti, Gianfranco Basti, e chissà quanti altri) hanno fortemente «denunciato uno iato fra mondo della teologia e delle scienze» moderne.
Come non si può essere d’accordo.
I teologi moderni non hanno saputo fare ciò che, a suo tempo, fece Tommaso d’Aquino e tutta la Scolastica post-tomasiana.
            Questa bella lagnanza mi sembra però che abbia uno strano sapore autoreferenziale di vecchia accademia: Accademia Pontificia delle Scienze, Università Santa Croce, Università Lateranense, et cetera similia. Queste pontificie entità sono dirette da professionisti che nei loro curricula avrebbero dovuto avere non solo una vasta cultura pregressa, sacra e profana, ma soprattutto mostrare di conoscere gli avvenimenti culturali più importanti degli ultimi decenni in campo scientifico e religioso (teologia, filosofia, ecc.).
            Mi sembra, da quel che leggo, che questo non sia avvenuto. Infatti mi sovviene il ricordo di un testo recensivo che il caro indimenticabile amico, don Gianni Baget Bozzo, pubblicava dieci anni fa su “Avvenire” (11 Aprile 2002, idee/2). Gli avevo timidamente omaggiato un mio studio sull’«Anima e i suoi prodotti, Armando, Roma 1999» dopo aver letto una sua lamentela che in ambito cattolico si trascurava questo gran tema.
            La risposta è stata fulminante. Quella di uno straordinario uomo di cultura e di saggezza che si era trovato sorprendentemente dinanzi ad un testo impegnato ed originale. E titolava: «La teologia dinanzi alla materia. Anche i quanti [le particelle elementari della fisica] hanno l’anima». “L’anima e i suoi prodotti” intendeva, ovviamente, i quanti del corpo umano nella teoria tomasiana dell’anima “forma corporis”.
            La riflessione di don Gianni si attardava nell’indicare «un limite del pensiero cattolico a metà del secolo XX che aveva voluto fare i conti soprattutto con le scienze storiche e la Scrittura piuttosto che con le scienze fisiche». Ed aggiungeva, con quel suo fare tagliente e profondo, che «se vi è una categoria che ha tenuto le corde del gioco in tutto questo periodo è la Materia. Ma la Materia – incalzava don Baget con piglio filosofico di classe – non è la ule aristotelica priva di forme (materia prima) ma è la “madre mediterranea” che genera, per forza sua, continuamente i suoi figli [evoluzionismo]. Il materialismo riprende il suo concetto di materia dal mito e non dalla metafisica».
            E continua, applicando, che «da ciò è nato il pregiudizio materialista [e positivista] per cui tutto si spiega a partire dal basso, cioè la struttura dell’evento».
            Di seguito, il Nostro sottolineava il fatto che tale concetto pregiudizievole «ha pervaso anche le scienze e, quindi, l’esegesi biblica». E, per non restare nell’indeterminato, il compianto don Gianni si meravigliava sapientemente di poter finalmente leggere, nell’omaggio del mio “L’Anima e i suoi prodotti”, qualcosa che superava questo «iato fra mondo della teologia e delle scienze» già riportato (Heller, Basti, Tanzella. Di esser lieto di trovarsi di fronte ad un «raro metafisico classico che ha risciacquato i suoi panni nella scienza moderna ed ha trovato in essa le vie della metafisica».
            Scendendo, nell’analisi del libro, ancora più in profondità, egli sottolinea con forza che si è finalmente capita «la potenza antimaterialista del principio di indeterminazione [Heisemberg] e della fisica dei quanti, e che dalla fisica veniva un colpo decisivo al mito della materia onniprovvidente» (materialismo, fisicalismo, evoluzionismo e cose del genere).
            «Il merito di questo raro e sconosciuto metafisico (p. Antonino Stagnitta O.P.) e del suo libro di prodotti dello spirito, è quello «di aver ristabilito un rapporto tra la metafisica platonico-aristotelico-tomista e le scienze dell’umanità [fisica, psicologia, paleontologia, neurologia, matematica, logica…]: questo è un buon punto di partenza per ricostruire un pensiero cattolico». E don Baget sorride calorosamente: «lo stile dell’Autore è pungente ed ironico e lo esercita soprattutto contro gli evoluzionisti alla ricerca del canone [anello] mancante come Sherlok Holmes alla ricerca degli indizi, sempre sulla base della materia onniimpulsiva».
            L’analisi di don Gianni del volume sull’Anima, il cui primo prodotto è il linguaggio, fa notare come «il principio di indeterminazione [della fisica quantistica] avrebbe dovuto rendere pensabili ai biologi il salto, cioè il principio di discontinuità che è il principio creatore. Ma, come dice lo Stagnitta [misterioso autore di quest’Anima e i suoi prodotti, EDI, Napoli 20112], essi sono destinati a cercare un gru [sic!] in cielo».
            Continuando, il nostro gran maestro relatore fa ancora osservare che «qui si riprende tutta la verità della forma corporis tomista, stabilendo ad un tempo l’immanenza e la differenza, la continuità e la discontinuità della struttura e della res, del principio ordinante e della realtà organizzata. Ciò permette di fare economia di tutte le strade che imboccano al caso o alla eliminazione del problema dell’ordine del mondo e della vita della ricerca razionale».
            L’indimenticabile don Gianni conclude esprimendo uno speranzoso desiderio: «Spero che i lettori capiscano l’importanza di questo libro per la razionalità della loro fede». Egli si permette di dare ai teologi un consiglio, da gran maestro qual era: essi devono sottrarsi all’amplesso nichilista della filosofia europea e ritrovare il contatto con la realtà quale le scienze fisiche e biologiche oggi le offrono. Ed, aggiungo io, far capire agli “scienziati” che debbono riscoprire una virtù che fu già degli Scolastici: “sapientia humilitatis splendor, l’umiltà. Credo che già qualcuno dei più grandi fisici moderni, il Penrose, abbia imboccato decisamente questa via, lasciando la saccenteria alle elucubrazioni dei micro-scientisti che popolano le esangui Università europee. Ne è limpida prova il titolo ed il contenuto del suo poderoso libro (1085 pagine): “La strada che porta alla realtà. Le leggi fondamentali dell’Universo” (per Rizzoli, 2005). Nella “Prefazione” si dice, fra l’altro, che «lo scopo del libro è trasmettere al lettore la capacità di apprezzare uno dei più importanti ed eccitanti viaggi di scoperta che l’umanità abbia mai intrapreso: la ricerca dei principi fondamentali che reggono il comportamento del nostro Universo. E’ un viaggio che dura da circa tre millenni e mezzo (…). Esso, però, si è mostrato estremamente difficile e, nella maggior parte dei casi si è arrivati ad una reale comprensione della Natura soltanto lentamente. Questa difficoltà intrinseca (sottolinea mia) ci ha condotto verso molte direzioni sbagliate: dobbiamo quindi imparare a essere cauti».
            Don Baget Bozzo ricorda, con commozione, Tommaso d’Aquino che fu il maestro più apprezzato, a Parigi, nella facoltà delle arti, le scienze di allora (sec. XIII). Egli suggerisce a tutti noi di «seguire l’esempio del maestro».
            E mi pare di poter francamente dire che il lavoro di decenni delle mie solitarie e misconosciute ricerche sono andate in questa precisa direzione per una convinzione mutuata dalla strana scelta mendicante e laicizzante del giovane conte longobardo Tommaso. Egli al seguito di Domenico e della sua “santa greggia ‘u ben s’impingua se non si vaneggia”, ci ha ancora una volta illuminati e sorretti col magistero di Papa Ratzinger che, nella sua “Deus caritas est” (2006), ci ha indicato la strada che porta alla Verità tutta intera.

INTRODUZIONE E PRELUDIO PER UNA EVENTUALE SUMMA CRISTIANA / di A. Stagnitta


Una Summa cristiana nella terra dei Gentili si propone di gestire rigorosamente il processo scientifico per discipline che vogliano dirsi razionali. Esiste, infatti, oggi una terra dei Gentili che, in nome della scienza, vuole proporsi come unica realtà culturale che governa il mondo e le sue prerogative fisico-antropologiche. Gli attori di questo particolare territorio epistemologico affermano decisamente che, per loro, ogni manifestazione umana che produca un fenomeno religioso qualsiasi (fede) è un’incomprensibile alienazione. E’ chiaro il ritorno di Marx e Feuerbach: «i predicati di Dio sono riconducibili a quelli dell’essenza umana»: una proiezione.
            Quest’atteggiamento ostile di un nuovo ateismo (new atheism) sembra privilegiare un retrocedere verso filosofie ed epistemologie ottocentesche e tardo-hegeliane che hanno prodotto e dominato, da sinistra, il mondo della cultura e dei saperi parascientifici del recente passato. Il pre-scientifico è stata la caratteristica delle avventure ottocentesche e del primo novecento della cultura positivo-materialista. Essa ha portato ai disastri nazi-comunisti e al diffondersi molto gaio della “fede” illuminista, vera splendida alienazione: caratteristica di «cominciamenti senza presupposti».
            In questo giardino culturale fascinoso e popolare contemporaneo si individuano facilmente mentalità e saperi decisamente fondamentalisti in parallelo col fondamentalismo fideistico creazionista che niente ha a che vedere con la ricerca scientifica.
La Bibbia cristiana (Genesi) dice una cosa molto semplice, di natura didattica, per le popolazioni post-preistoriche: che esiste un Creatore (Dio) che, dal nulla assoluto, ha fatto tutte le cose che vediamo ed esperimentiamo con la conoscenza intellettiva ed empirica in senso profondamente aristotelico. La Sacra Scrittura non dice per nulla come Dio ha fatto queste cose. Non si crederà, ovviamente, che centinaia di seri studiosi e specialisti, del testo e delle tradizioni bibliche, severi e colti di ogni genere, accolgano letteralmente, per esempio, il pupo di fango o il soffio della vita con la costoletta di Adamo protobatterio e di Eva mitocondriale. Credere ad una cosa del genere, da parte di questi filosofi naturalisti, significa solo il ridicolo della scienza e della filosofia.
            Si parlerà ampiamente su questo interessante equivoco e “pericoloso” tema sull’origine della vita e dell’universo. Siamo consapevoli e fortemente convinti che i nuovi atei utilizzino, nei confronti dei credenti, un sapere fortemente razzista e scientificamente depauperato dai grandi principi della filosofia. Mi viene in mente una lapidaria e secca espressione del gran filosofo americano Hilary Putnam: «Aristotele dopo Wittgenstein» (Words and life, 1994).
            E, per non andare per funghi, dirò che l’espressione, ormai ricorrente negli scritti di molti improvvisati filosofi e apologeti dell’assenza di Dio, che: “l’essere coincide con la Natura cosmica”, è una magnifica bufala. Si confonde la logica con l’ontologia (cfr. Russel a proposito del concetto di sostanza da lui scoperto nella teoria dei tipi).
Vedremo anche questo molto gaio discorso dei nuovi atei che, nel mortaio, vogliono pestare l’acqua dello stagno. Circola anche un interessante enunciato che sintetizza ed esprime, in modo veramente brillante, la carenza cognitiva dei temi più noti e maturi delle scienze della logica: «la natura è la totalità del reale» (Comte – Sponsille, Lo spirito dell’ateismo). Certamente: la natura è la totalità del reale, ma l’espressione è simile a quanto si legge nello stesso testo, che: «l’insieme (la Natura) di tutti i punti di vista», come l’insieme o classe dei bicchieri non è un bicchiere.
Perciò, in un contesto severamente logico-matematico (teoria degli insiemi e delle classi), la Natura non è parte del reale. Vale a dire che il concetto di “Natura”, come totalità (insieme) degli enti universi, è un concetto logico, affatto ontologico, reale. La Natura, quindi, non è parte del reale e, perciò, non esiste. Ma se la Natura non esiste, se non come concetto logico (un vecchio universale “predicabile”: il genere), come si può affermare impunemente che «lo spirito (umano o divino) è un suo risultato o prodotto più interessante, spettacolare e promettente»? Il nulla non produce l’essere, è niente: stoltezza di uno stupido paradosso.
            Qui i testi dei vari autori che trattano, con serioso piglio, il tema dell’ateismo si fanno poesia, lirica, ascesi, mistica. La scienza viene dolorosamente esclusa dalla riflessione sul gran mistero del «perché l’essere anziché no». Essa viene, altresì, scartata da una certa ragione filosofica che conduce, con poetica allegrezza, i grandi problemi su cui, sin forse dalla preistoria, l’umanità tutta si è confrontata. I miti biblico-platonici, il poema lucreziano e virgiliano sono, in fondo, un onesto e intelligente sforzo, in carenza di conoscenze scientifiche consolidate dall’esperienza dei secoli, per cominciare a spiegare una montagna di enigmi e quesiti che l’umanità si è sempre posta.
            Voler interpretare il sapere e la riflessione del passato aristotelico-scolastico come un orribile fideismo integralista è semplicemente un’enormità mistificatoria. Si possono, certo, convincere i popoli, come ai tempi del mito, sfruttando l’analfabetismo imperante sui grandi quesiti dell’esistenza, ma non si può pretendere di passare inosservati dinanzi alla tribuna di chi ha logorato la propria vita nella ricerca scientifica e nell’uso forte della ragione senza illuminazioni più o meno fideistiche (Anselmo). Se la mia intelligenza deve essere considerata in termini esclusivamente naturalistico-evoluzionisti, senza alcun fondamento seriamente scientifico, allora veramente tutto ciò «non ha alcun senso»: Wittgenstein docet! Che il nostro Odifreddi scriva che «l’unica vera religione è la matematica e… la scienza [e la logica?]», e che al di là dell’orizzonte degli eventi non esiste alcuna trascendenza ma c’è solo superstizione, allora siamo al capolinea della razionalità.
            Il fanatismo illuminista è peggiore del fanatismo delle religioni. Perché, mentre quello religioso è un bubbone malato della fede, quello laico-fisicalista è semplicemente la rinuncia a ogni razionalità che invece ha caratterizzato la storia dell’umanità dai Presocratici ad oggi. Pretendere il contrario, con piglio parascientifico, significa proprio l’arroganza di una cultura monocratica con profili nettamente teocratici illuminati a parabbuddisti.
            Perciò prima di cominciare il nostro discorso che ci riporti sul genuino piano della filosofia e della scienza, con un dibattito libero e dignitoso al di là degli insulti ideologici verso miliardi di credenti delle varie fedi, eccoci con una litania di temi da trattare nella eventuale Summa.

UNA LITANIA DI PROBLEMI

“Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo”.
(Paolo Apostolo ai credenti di Efeso, 1,3).

  1. La “NATURA” come classe logica. L’equivoco o il vero senso del “Deus sive Natura” di Spinoza e dei moderni fisico-ateisti e monistico-positivisti.
  2. L’uomo e il suo “conoscere”: un meteorite parlante.
  3. L’anima e i suoi prodotti.
  4. Primo assoluto prodotto: il linguaggio.
  5. Cosmologia – Spazio e tempo: Eternità.
  6. Origine della vita sulla terra celeste, palla turchina nell’Universo di fuochi galattici.
  7. La fede cristiana come Rivelazione di Dio e la filosofia come discorso razionale sulle sue proposizioni (Teologia): fides quaerens intellectum (S. Anselmo, Abelardo…).
  8. L’etica razionale e la morale cristiana. Le virtù morali e soprannaturali.
  9. Il Sacramento del Mistero di Cristo, il Risorto da morte sicura.
  10. Il dialogo rispettoso con i non-credenti alla ricerca comune della Verità a mezzo della ragione scientifica. Nessuna prevaricazione astiosa delle parti.


II. “LA DISTRUZIONE DELLA DISTRUZIONE DEI FILOSOFI” (AVERROE’)

«Tardi ti ho amato, o bellezza così antica e così nuova,
 tardi ti ho amato! Ed ecco che tu eri dentro ed io fuori, 
e lì ti cercavo (…). Ahimè! Abbi pietà di me, Signore (…). 
Guai alle prosperità del mondo».
(Sant’Agostino, Confessioni 10, 26-37-29, 40: CSEL 255-256).


Il fenomeno del “Nuovo ateismo”, che dilaga in tutta Europa tra le nostre “deboli” popolazioni giovanili, mi sembra un fatto di natura psicologica. Ho forte impressione che la filosofia e, a maggior ragione la scienza, qui non hanno campo. La stessa ragione illuminista, da cui sembrano scaturire questi bei discorsi, pare suggerisca a tanti portatori sani di tale dissoluzioni che, molto probabilmente, hanno smarrito, per strada, la stessa via della ragione; forse l’hanno superata ed emarginata. Costoro possono benissimo essere chiamati: post-illuministi.
            L’aver smarrito la via significa aver smarrito la ragione per rifugiarsi in tale furore fideista che quello dei credenti di tutte le fedi religiose, al paragone, è un fenomeno rigorosamente razionale, anche se non-euclideo. Il perché di tutto ciò è facile da trovarsi: leggendo le loro belle pubblicazioni e i loro ben congegnati libri si ha la chiara sensazione che, con un raffinato linguaggio moderno e, spesso, con polemica ironia, sciorinano discorsi assolutamente scorretti. A volte, essi sono offensivi dal punto di vista filosofico e scientifico. Dire, per esempio, che professare una fede religiosa «è una minaccia per l’umanità e un integralismo da estirpare dalla faccia della terra», significa chiaramente costruire una sorta di moderna Inquisizione[1]. Perché, “estirpare” può benissimo significare per i credenti una shoah al modo nazista o un repulisti al modo leninista o cinocomunista, oppure, in fine, una drastica emarginazione dalle cattedre universitarie, dai centri di ricerca (cfr. C.N.R.: Pievani contro De Mattei)[2] e simili espulsioni e roghi da braccio “secolare”.
            Simili scomuniche, fanno emergere, in chi fa filosofia, un sentimento di orgoglioso puntiglio: dissolvere tale nebbia mentale con la scienza della logica, con la dialettica delle scienze antiche e moderne, ed, infine, con la testarda amministrazione di un sapiente “Io” contro ogni prevaricazione materialistico-positivista.
            Ed è proprio quello che ci proponiamo di fare orgogliosamente in una «Summa cristiana nella terra dei Gentili prevaricatori della ragione». Le nostre argomentazioni non saranno «irrefrenabili impulsi» di aggressive teorie fondamentaliste e fideistiche, stile nazionalsocialiste e marxo-leniniste del secolo che fu. Le nostre controproposte rivestiranno la funzione di pacati ragionamenti che «sovvertiranno» nel nome della scienza e della logica, di averroistica memoria, «la [supposta] distruzione della distruzione dei filosofi» (Tahafut al-tahafut).
            E perciò il primo nostro discorso riguarderà il pluriblaterato termine e concetto di “Natura” che produce equivoci trancianti e senza senso. Nel tentativo di sostituirlo con un Dio, o Caso o Necessità, o che diavolo sia, si cade nel terreno, molto friabile, di un’esperienza di trascendenza che sotto le righe è implorata nell’atto stesso di negarla. Vedremo.


[1] Cfr. S. Harris, La fine della fede. Religione, terrore e il futuro della ragione, tr.it., Nuovi mondi media, San Lazzaro di Saverna (BO) 2006; F. Odifreddi, Caro Papa, ti scrivo…, cit.; R. Dawkins, L’illusione di Dio, Mondadori, Milano 2010; Comte – Sponville, Lo spirito dell’ateismo, Ponte alle Grazie, Milano 2007 (dove si usano, per chi crede, termini come “imbecille” e simili).
[2] Cfr. il Giornale, quotidiano, 28/11/09, p. 36: «Roberto De Mattei vicepresidente del CNR, riferisce un tale Telmo Pievani firma un articolo contro il «convegno antievoluzionista» organizzato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche. Il suddetto si dice molto preoccupato, perché il CNR sta facendo «perdere la faccia al nostro paese» e, riferisce il De Mattei, che si vuol «colpire con l’epurazione» chi non aderisce ai dogmi darwinisti». E conclude: «il mondo scientifico del XX° secolo ha già conosciuto regioni in cui si è adottato questo sistema».



Recensione all'"Anima nell'universo della Galassie"

Recensione all'"Anima nell'universo della Galassie"
Recensione del p. Francesco Cultrera s.j. al saggio sull'"Anima nell'universo delle galassie": La Civiltà Cattolica, 166/4 (2015), pp. 302-303