“Non si coglie la bellezza della rosa dissezionandone
i petali”
(un saggio
pellerossa)
Il 17 Settembre 2012 Noam Chomsky, pluridecorato di
fama mondiale, teorico del linguaggio e della comunicazione, ha ricevuto alla SISSA di Trento la laurea “Honoris
causa” in Neuroscienze cognitive. L’avrà certamente meritato: l’Università che
lo decora riceve un bel lustro.
Un altro importante pensatore, Edoardo Boncinelli,
neurobiologo, credo che aspetti qualcosa del genere da qualche prestigiosa
Università, magari americana. Il merito sarebbe, finalmente, che si è scoperto
che «l’anima è solo un’illusione» ( Corsera 6.9.2012, p. 41).
Infine Ken Follett, esimio romanziere, si appresta ad
incassare una collina di soldi per l’ultima storia romanzata: L’inverno del mondo. Egli afferma (Corsera “Sette” 7.9.2012, p. 32) di non
essere per niente religioso, di non credere in Dio o nei segni del destino, e
in tutte le superstizioni. «Le domande
brucianti sul senso della vita» - confessa a E. Vigna, giornalista che lo
intervista – «hanno avuto risposta nella
mia gioventù, durante gli studi universitari di filosofia e, perciò – glissa
– non avrei nulla di cui parlare col Papa,
col Dalai Lama o con l’ayatollah Khamenei».
Sono tre figure diverse: un romanziere, uno studioso
del linguaggio e un filosofo della mente. Ma la proprietà che li accomuna, in
modo primario, è già dichiarata dal Follett: nessun credo religioso è la scelta
culturale decisa nella propria formazione giovanile. Tale decisione li
giustappone tutti, in modo ideale e romanzesco, nella più dignitosa scienza che
definiamo non-euclidea: da principi affatto acclarati si procede verso la
costruzione di varie scienze speculative e romanzi empirico – pragmatici.
Infatti, quando si dice che «l’anima è solo una illusione» e si colloca il ragionamento nel
campo minato della «scienza che supera il
dualismo tra la mente e il corpo» (Boncinelli) allora è parecchio chiaro di
che scienza si tratti. E quando si discetta nel romanzo: Quel che resta dell’anima di «nozioni
confuse e inverificabili che conducono al fiorire delle mitologie passate e
presenti» sull’anima, allora il bel racconto è ben servito. E che dire poi
se queste nozioni confuse «ci trascinano in una nebbia di frasi fatte (sottolinea mia) e pregiudizi (…) che attivano in noi
reazioni immediate e poco razionali»?
Cosa è una nebbia di frasi fatte? Eccola: ciò che è
inverificabile, una mitologia passata e presente, nozioni confuse, superamento
di un credo religioso e infine, un’anima iperuranica…
Una frase
fatta significa confezionata senza alcun rigoroso “criterio di senso” e
senza alcuna logica scientifica. E mi pare che la disamina che si fa in quel
romanzo per sapere cosa resta dell’anima, nella sua nozione platonica, manifesta
una enorme catasta di frasi costruite e fatte dalla raffinata e pressappochista
platonico-mitologica neurofisiologia moderna. La dimostrazione è che tutti gli
scritti dei ricercatori della disciplina
suddetta dicono le stesse cose copiandosi l’un l’altro con linguaggi
spesso veramente raffinati.
Perciò, chi continua a dire certe cose sul problema
dell’anima o mente o psiche o che diavolo sia è appaiato, e rigorosamente
allineato, alla fraseologia di enunciati della tradizione neoplatonica,
religiosa, ascetico-giansenista che in Sant’Agostino, come sottolinea nel
romanzo lo stesso autore, ha trovato la sua esplicita radice. Le frasi fatte
nella nebbia di corposi pregiudizi sono, perciò, prerogativa non certo della
scienza genuina che sempre si rinnova, ma di romanzesche scritture confezionate
da abili scrittori per il gran pubblico di scettici bigotti. Di tutto ciò ne è
chiara espressione la grande gaia confusione che si fa sul tremendo problema
dell’anima. Le «nozioni confuse e
inverificabili» sono, per esempio, quelle che riguardano i rapporti tra la
scienza e le fedi religiose. Infatti i contenuti delle fedi religiose, appunto
perché credibili e «riposanti» ma ovviamente
senza esperienza, non hanno nulla a che spartire con la ricerca scientifica, e
viceversa. Una scienza che vuol mettere naso negli enunciati di una qualsiasi
fede religiosa rischia il ridicolo di navigare in un mare alieno. Come una fede
religiosa che voglia immischiarsi, come ai tempi di Galileo, in problemi della
scienza precipita nella trappola dell’incompetenza.
Quando Joseph Le Doux, neuroevoluzionista di grido, a
proposito dell’identità di ognuno di noi, dice: «tu sei le tue sinassi» ( canali vuoti tra elementi del cervello) e
quando aggiunge, con allegra ignoranza, che Tommaso d’Aquino «credeva [….] che il corpo resuscitasse e
fosse ricongiunto all’anima nel Giorno del Giudizio», appaiando detti
discorsi con la teoria antropologica tomasiana che sostiene che: le qualità
intellettuali immateriali della mente garantiscono
l’immortalità dell’anima, fa vedere che su questi argomenti deve imparare
ancora parecchio prima di discettare con sufficienza e poca serietà
scientifica. Quelli sono argomenti della fede e della scienza teologica e non
dell’antropologia filosofica tomasiana come psicologia. Dice giusto lo stesso
S. Tommaso, che studiò bene questo strano ed ingarbugliato rapporto, che: voler
provare la fede con argomentazioni prese in prestito dalla ragione umana si
rischia il ridicolo (Summa). In
questo contesto il termine “fede” vale per i due campi del sapere e nei due
versi: scienza e fede.
Spesso la ragione filosofica e scientifica ha le sue
intuizioni fideistiche: la fede laica; oggi è sorta anche la morale laica.
Esse, però, rischiano il ridicolo della contraddizione e il flop
dell’antinomia. Infatti siamo alla presenza di una fides laica che invoca, guarda caso, una comprensione di stampo
aristotelico cioè un empirismo più genuino di quello moderno (William James) o
come si esprime Hillary Putnam: Aristotele dopo Wittgenstein.
Ma già ne abbiamo conferma dal gran fisico-filosofo
Roger Penrose quando scrive, per esempio, che: «la nostra fede nel sistema dei numeri reali è stata ricompensata».
Questa fede laica però raggiunge, di fatto e molto spesso, il fondamentalismo,
il più razzista che si possa immaginare: quello dello scuro pregiudizio immobilista
e discriminatorio. Ormai è da più di un secolo che sentiamo le lagne evanescenti
empirico-positiviste e logico-empiriste, come a dire: la logica è il prodotto dei
sensi attivati e circuminsessi dai neuroni cerebrali, e viceversa.
Ho sottomano un ilare e gaio discorso fideista di un
bimestrale di scienze: “ darwin” [sic] popolarizzato da uno che
si dichiara, credo, scienziato, e che vuole discutere di «matematica e geometria della coscienza»: parole forti. Colà si
afferma che: «per la prima volta una
teoria scientifica prova [tenta] a spiegare come il caleidoscopio delle esperienze
nasce da un pugno di materia grigia». Suppongo che questa materia grigia
sia il cervello con la sua misteriosa corteccia che sembra produrre tutte le
nostre belle esperienze, compresi gli stati mentali. E’, certo, una teoria, e
quindi «essa non equivale ad una
spiegazione. E tanto meno a una spiegazione in termini di leggi esprimibili
matematicamente, come in fisica» (Anno 1, n. 4, (2004), pp. 36-38). Non
riesco a capire a quale tipo di scienza appartenga tale teoria: mi informerò
con Gödel.
È spiegato così il folle declino dogmatico della
sapienza occidentale. Di queste condizioni culturali, immerse «in regioni prelogiche (…) ambigue,
polisemiche, fino a considerare mistico ciò che è spesso solo confuso e
contraddittorio», da parte di piccoli e saputelli personaggi che galleggiano
nel mondo della ricerca scientifica, ne è piena zeppa tutta la terra nel chiaro
soffocamento della verità. Il paraocchi fideista è appaiato all’arroganza e al
dogmatismo della condizione psichica di molti scienziati. Essi, molto spesso,
prendono in prestito dal Medioevo teologico, paradossalmente ed il modo
inconscio, l’anselmiano credo ut
intelligam io credo perché possa capire. Ma al posto della fides (credo) «magica e religiosa»
nel Cristo Risorto da morte sicura, si è sostituita la fides nelle dogmatiche subiettive e categoriche di parecchi
processi scientifici affatto acclarati da prove apodittiche. Soprattutto si è
rimpiazzata una profonda isterica avversione a Dio e al suo Cristo. Da lì poi
si è proceduto, senza severa dialettica o alcun dignitoso e solido passaggio di
rispetto della scienza e della logica e della ricerca scientifica, alla
comprensione razionale (illuminismo) dei medesimi contenuti fideisti: un’autentica
scienza non-euclidea che fa a meno di chiarificare i propri principi; altro che
«pulizia semantica»!
Fin qui riconosco che il mio discorso è solo una
semplice opposizione, molto epidermica, alle varie esposte osservazioni. Per
andare in profondità nella discussione veramente scientifica dei problemi e dei
grandi interrogativi sull’anima o mente o che diavolo sia, bisogna avere la
pazienza di andare a consultare il mio: L’anima
e i suoi prodotti. Da Darwin
giurassico a Platone celeste, Editrice Domenicana Italiana (EDI), Napoli
2011, pp. 380. Lì si dipanano, con rigorosa pazienza ed attenzione, tutte le
discussioni scientifiche che cercano di sapere cosa è anima e il suo primo
divino prodotto che è il linguaggio.
L’aver privilegiata la teoria aristotelico-tomasiana
dell’anima “forma” del corpo umano significa solo far scendere dall’Iperuranio
platonico e salire dagli Inferi della materia meteoritica una nozione di uomo
che è semplicemente una grande misteriosa sintesi (unicum).
Le due realtà: anima-corpo, cervello-mente non sono
altro che l’uomo, un vero meteorite parlante, un “essere” sintesi, un unicum. Questa mia carne con la sua
sublime struttura biologica è qualcosa di spirituale: un Io, un’identità in un
ammasso di cellule continuamente cangianti e profondamente rinnovantesi. Il
corpo che oggi noi portiamo in giro non è più quello del bambino di molti anni
fa. Questo mio cervello, carne muscoli ed ossa, non è affatto la struttura
biologica di allora. «Se si stesse a
sottilizzare sulle cellule, Dio sa che cosa è cambiato da allora ad oggi»
(Umberto Eco, Kant e l’ornitorinco,
1997, p. 281). Così anche questo mio spirito, o anima o mente è profondamente
carnale quando percepisce la gioia e il dolore, il piacere e tutti i bei gusti
dei frutti di natura.
Mi pare, perciò, che sia proprio questo «inconoscibile
mistero» (Dio sa) del cambiamento
fisiologico-cellulare che sta a indicarci, con forza, l’esperienza concreta
della nostra propria identità, pur nel cangiamento totale e irriconoscibile del
mio corpo e della sua struttura cellulare, atomica e subatomica, che lo
compongono.
E mi sembra che sia il momento di dichiarare una messa
al bando di ridicoli discorsi positivistico - scettici, illuminati da una
ragione nichilista che sta ancora a battere indefessamente l’acqua nel mortaio
di viete e fasulle teorie psicologiche che tendono al basso. È necessario un
rinnovamento culturale che faccia della concreta ricerca scientifica, senza orpelli
di condizionamenti sociali logico-positivisti e neuropsichici di maniera, una
regione pacata che ricerca solamente la verità dell’essere che siamo. Perchè
essa, la verità, è una ragione metafisica, non certo sperimentabile con i
sensi: il sole non gira, checché ne dicano i sensi e gli Inquisitori
contemporanei, razzisti e vendicativi, carichi di spiegazioni magiche e iperreligiose. E’ questa fantastica palla
celeste che gira come una trottola, nel segno della stabilità, che abbraccia la
splendida stella che è il nostro sole; alla faccia dei sensi.
***
E Noam Chomsky, ormai super decorato e
laureato col suo linguaggio «precipuo» prodotto della mente? Ken Follet super
romanziere e le sue pagine di bei racconti di un mondo onirico e senza Dio?
Di Chomsky, e delle sue molteplici
simpatiche teorie linguistiche, si dice che «bisognerebbe pubblicare un libro al mese poiché egli modifica le sue
teorie con cadenza pressoché mensile!» (F. Fabro, Il cervello bilingue,1996, pag. 235). Una delle tante sue teorie,
elaborate assieme ai colleghi supertecnologi dell’Istituto di Tecnologia del Massachusetts
(MIT), è chiamata «minimalismo;
Governement and Binding»: la struttura mentale e neuronale (cervello) che
riguarda il linguaggio è solo un piccolo modulo “ultra ristretto”, ma dalle
caratteristiche di assoluta efficienza (…) che permette il formarsi “logico” e
distinto del linguaggio sintattico nei lobi del cervello, per poi uscire nella
fonazione e nella comunicazione.
Il discorso del Nostro, evidentemente
pre-scientifico, tende al basso, perché «non
c’è niente di mistico nello studio della mente come studio dei meccanismi
[biochimici] del cervello a un livello astratto (…). Il mentalismo
contemporaneo, col suo “stato funzionale” (…), è un passo avanti nell’assimilare
la psicologia e la linguistica alle scienze fisiche» (Linguaggio e problemi della conoscenza, 1991, p. 10).
Il linguaggio sarebbe, quindi, per
tanti studiosi moderni «la caratteristica precipua dell’uomo che lo distingue
dalle macchine (di Turing ?!) e dagli animali: una facoltà che gli deriva dal
suo organo più sviluppato, il cervello, e che permette all’uomo di pensare, di
generare idee e di esprimerle». E più
avanti, quando sarà passato, forse, un mese, scrive: «Nel corso
della storia della scienza moderna ci sono stati tentativi di dare risposta a
domande che oggi ci sembrano superate come, per esempio, la possibilità che
esista una materia pensante» (Discorso per l’honoris causa, 2012). Mi domando: allora l’uomo cosa è: un
angelo? O forse un meteorite che parla senza pensare? Tutto superato…
Il discorso di Chomsky pare che dica:
queste sono le teorie che oggi circolano negli ambienti della ricerca scientifica
rigorosamente positivista ed empirista. Io, però, mi permetto di star sospeso, non
facendo tifo per nessuno, ma tendendo verso il basso della fisica (materia) e
della biologia (cervello): obiettivismo fisicista. Diceva giusto Baget Bozzo:
«vien da sorridere! Se vi è una categoria che ha tenuto corda nel gioco in
tutto questo periodo (XX secolo) è la Materia. Ma la Materia che non è la Ule aristotelica priva di forme [materia
prima] ma è la madre mediterranea che genera, per sua forza, continuamente i
suoi figli. Il materialismo riprende il suo concetto di materia dal mito e non
dalla metafisica».
Ecco, quindi, il gran pregiudizio materialista
dilagante per tutto il XX secolo ed oltre per cui tutto si spiega dal basso,
cioè dalla struttura dell’evento. Ma è proprio dalla fisica che viene il colpo
decisivo al mito della materia onniprovvidente: dalla quantistica con il suo
principio di indeterminazione e dal flop del principio evoluzionista ormai
scopertosi una grande oscena teoria che fa litigare, di bello, gli stessi suoi
cultori (cfr. Edelman-Dennett).
***
Con quanto detto non penso di aver
spiegato granché né di aver dato argomentazioni efficaci per ridimensionare e
battere il mito materialista addolcito con positivista, fisicista, ecc.). E neppure
suppongo di aver fatto buona luce sull’equivoco dilagante delle neuro-(scienze)
non-euclidee: me ne guardo bene. Ma, per cercare di capire, da diversa saggia
angolazione, la prosopopea ostinata del “gran sviluppo delle neuroscienze che
hanno reso finalmente ingombranti e superflui” le nozioni sull’anima e suoi
prodotti, primo il linguaggio, invito eventuali lettori a sfogliare il mio: Linguaggio e comunicazione, manifestazioni primarie della conoscenza,
Editrice Domenicana Italiana (EDI), Napoli (prima di Natale) 2012, pp. 180
circa. Grazie!
E di Ken Follett e dei suoi vivaci romanzi nei quali
non si fa mai il nome del Padre Eterno e del suo amato Figliuolo Gesù Cristo? Come se nel mondo che lì si
descrive, con mano esperta, non vi prosperassero miliardi di persone che vivono
la fede. In quei libri, tra fantasia e storia, avviene come se la civiltà
occidentale, inarrivabile e splendido prodotto del cristianesimo, non fosse la
concreta manifestazione del discorso del Cristo che lascia questa terra: «Voi,
miei discepoli, farete cose più grandi!
di quelle che ho fatto io» (Cfr. Vangelo
di Giovanni, Cap. 14, v. 12).
Perciò, cari amici, tutti quanti, che vi credete
dominatori del sapere del mondo moderno dal quale traete abbondanti buoni
guadagni andando in giro a suonare chitarrine e manovrare i testardi pupi
dell’opera, trovate un po’ di pazienza per leggere qualche puntuale pagina di
scienze dell’umanità. Siete pregati anche di sbarazzarvi, se ce la fate, degli
irresponsabili deprimenti pregiudizi che nella vostra prima forte «formazione
universitaria» avete ricevuto da spregiudicati filosofi (si fa per dire)
fioriti nel seno del deserto illuminista. Come quel tale Tribbechovius (1719)
che rimproverava alla Scolastica di essersi posta a servizio della teologia papale [Papaeae (sic)] o i facili motteggi deficienti di Rebelais, Locke,
Fr. Bacon, Cartesio (!) riproposti in modo sfacciato anche nel mondo moderno
che, ignorando le luminose scoperte del grande sapere medioevale, ne decretano
la notturna millenaria durata.
E così chiudo questo mio breve discorso in attesa che
qualcuno se ne accorga e… risponda. Grazie!
p.
Antonino Stagnitta
Palermo 28 settembre 2012