giovedì 30 maggio 2013

ODIFREDDI, MATEMATICO-TEOLOGO PARLA CON PAPA FRANCESCO SULL’EUCARISTIA



Leggo sul quotidiano cattolico AVVENIRE (12/5/13, p. 31) che il matematico Piergiorgio Odifreddi ha chiesto a Papa FRANCESCO cosa pensi della “transustanziazione” nell’Eucaristia.
            Mi congratulo col professore che, pur dichiarandosi un non-credente (in tante cose), torna spesso a parlare di temi attinenti la fede cristiana.
            E’ probabile, forse, una sua conversione? Lo invitai a tale passo in altra occasione quando scrisse a Papa Ratzinger con un bel volume su questioni bibliche e dogmatiche a cui io mi permisi di rispondere sul mio blog (nuovissima scolastica).
            Il quesito, articolato, che il Professore pone ora a Papa Francesco è il seguente:

1.      Il Santo Padre Francesco prima di fare il prete gesuita era un perito chimico.
2.      Come tale è abilitato a conoscere bene come avvengono in chimica le reazioni fra gli elementi, e gli scambi fra le sostanze-essenze dei medesimi elementi chimici.
3.      Nella consacrazione eucaristica, secondo la teologia cattolica, la sostanza del pane e del vino si trasforma (“si muta”) per volere divino nella reale presenza delle sostanze del Corpo e Sangue di Gesù Cristo (trans-substanziazione).
4.      Ma, nonostante questa profonda trasformazione tra le due sostanze, pane e vino - Corpo e Sangue di Gesù, gli accidenti del pane e del vino restano immutati. Vale a dire che i fedeli quando prendono l’ostia sacra masticano il pane e bevono il vino. Tuttavia quello che mastichiamo e beviamo non è la sostanza vera del pane e vino ma solamente gli accidenti cioè l’esteriorità del pane e del vino e non proprio la loro sostanza. Perciò, l’Ostia consacrata non è un vero pane o un buon vino ma un loro simulacro mentre in realtà la teologia dice che lì è presente l’autentica sostanza del Corpo e Sangue di Gesù. E’ presente Gesù Cristo perché: “questo (pane) è il mio Corpo e questo vino è il mio Sangue”, come riferisce il Vangelo. E’ la fede cattolica nell’Eucaristia e, quindi, nella presenza di Gesù Glorioso con la sua metafisica sostanza in quell’ostia-pane. Questa presenza è manifestata, cioè certificata, dagli accidenti del pane consacrato nella celebrazione dell’Eucaristia (la S. Messa): «fate questo in memoria di me». In quell’istante, con la parola del Sacerdote che rappresenta Cristo (alter Christus), avviene quella misteriosa trasformazione della sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Gesù: Mistero della Fede! “Proclamiamo la tua morte o Signore, professiamo la tua resurrezione nell’attesa della tua venuta” (Canone).
5.      Ora, il Prof. Odifreddi, come un teologo non-credente, a proposito di questo grande Mistero della Fede cristiana, chiede,legittimamente, al Santo Padre, come già perito chimico, se questo fenomeno chimico (ma per me è fisico come la fusione nucleare, e metafisico: sostanza-accidente) della trasposizione o transustanziazione di sostanze: pane-Corpo di Cristo, sia possibile secondo la scienza della Chimica.
Il Nostro fa al Santo Padre Francesco una domanda retorica perché sa bene, e lo dice chiaramente, che la scienza della chimica dimostra che «non può esistere una sostanza disgiunta dai suoi accidenti». Vale a dire che «sotto le apparenze (accidenti, esteriorità) del pane e del vino non vi può essere, per la scienza chimica, il Corpo o il Sangue di Gesù. Se così fosse dovrebbero scomparire anche quelle apparenze o accidenti del pane e del vino, essendo questi, per la chimica, inseparabili dalla sostanza. Ma essi rimangono percepibili dai nostri sensi. Tanto è vero che noi mastichiamo l’ostia (il pane) e beviamo il buon vino, e non certo il Corpo e il Sangue di Gesù. Perciò, niente presenza di Gesù nell’Eucaristia, come dite voi credenti nel Mistero.


COME SI RISPONDE AL LEGITTIMO PROBLEMA

1.      Come rispondere a questo plateale equivoco? E come suggerire al caro Professore che i Misteri della Fede cristiana sono di natura trascendentale? Vale a dire che la Rivelazione dei Misteri cristiani avviene nel campo soprannaturale? Gesù Cristo ha annunciato ai suoi fratelli non come si friggono i pesci in padella e neanche se o no la terra giri intorno al sole. Il Cristo ha manifestato ed «annunciato ai suoi fratelli il nome di Dio» (cfr. Lettera agli Ebrei 2, 12), cioè la Natura Divina e i suoi Misteri. E ciò è un fatto soprannaturale affatto contiguo alla scienza umana.
Perciò, quando viene chiesto dal caro Professore e da parecchi altri non-credenti, “troppo” affezionati ai problemi della religione, di dar conto scientifico dei contenuti e dei misteri della Fede si commette un inammissibile equivoco, a volte un po’ indiano… Cioè si commette, scioccamente, una fallacia di tipo logicista: voi credenti dovete dimostrare con i parametri e le categorie della scienza (galileiana) i contenuti e i significati dei Misteri da Dio rivelati nella Bibbia della sua infinita essenza ed incomprensibile volontà. Essi sono espressi con linguaggi umani e perciò sottoposti, a parer di Odifreddi, a verifica scientifica (positivismo).
E’ proprio una chiara e forte fallacia logicista. Come se io pretendessi da uno scienziato cosmologo che mi spieghi scientificamente come è fatta la Trinità dei Cieli o come avviene, se avviene, la transustanziazione  chimico-fisica nel Sacramento dell’Eucaristia, pena la incongruenza della scienza cosmologica. Un vero equivoco, un duro atteggiamento fissile: è l’equivoco della mescolanza di piani diversi della conoscenza. Ma:
2.      Sorpresa! La pretesa dell’Odifreddi e di altri parecchi scienziati di sussiego è stata già prevista, nientemeno che sette secoli fa, dall’indimenticabile e ormai unico gran teologo della Chiesa Cattolica e unico moderno filosofo grand’interprete di Aristotele: Tommaso D’Aquino: Somma Teologia, questione prima.
Egli era uno scienziato nel senso più moderno del termine e, come tale, si chiese come bisognava scientificamente rispondere a chi ci chiedesse conto, ragionevolmente, della «Fede e Speranza che è in noi» (cfr. Prima Lettera di Pietro Apostolo 3, 15).
La risposta è così limpida e razionale che, incosciamente certo, plana addirittura nel precorri mento epistemologico: la elaborazione della scienza non-euclidea fatta cinque secoli prima della scoperta matematica delle geometrie non-euclidee (Sec. XVIII).
Tommaso considerava la Teologia della Rivelazione o Sacra Dottrina come una scienza nel senso più moderno del termine. Ma una scienza sui generis che fuoriusciva dai canoni delle scienze speculative aristotelico-euclidee: propriamente quelle che oggi sono conosciute come scienze non-euclidee, dell’algebra astratta, ecc., a cui non importa la verità o falsità dei loro eventuali primi principi o proposizioni primitive, come appunto l’algebra astratta, ma solo la non-contraddittorietà delle proposizioni che le compongono.
Tutta la Somma Teologica di Tommaso è impostata proprio così come una rigorosissima scienza non-euclidea che non può affatto acclarare né spiegare i suoi principi di fondazione perché sono i divini Misteri delle Rivelazione Cristiana ma solo dimostrare che non esiste in loro e nei linguaggi che li manifestano nessuna contraddizione: una vera corposa silloge di scienza non-euclidea e non-cantoriana (per chi lo desidera la Summa è a disposizione di tutti in quasi tutte le biblioteche del mondo.
3.      Ed allora come si può rispondere a chi ci chiede ragionevole conto della nostra fede riguardo a tali misteriosi contenuti, compresa l’Eucaristia, che insistono anche sul nostro comportamento e quindi sull’etica che lo gestisce? La soluzione che daremo, alla scuola di Tommaso, è confezionata  per Odifreddi e per i colleghi scienziati galileiani e matematici cantoriani che dicono che tutte quelle belle cose a cui noi crediamo fermamente sono delle cose senza senso. Per tali scienziati noi accettiamo, per fede e ciecamente, ciò che è contro la ragione e la scienza che la distingue. Per cui tra fede e ragione non ci può essere alcun accordo perché noi non possiamo dimostrare nulla delle nostre fantasie fideiste come invece fa la scienza.
Risponde Tommaso (Summa Theologiae, questione 77, articolo primo della Terza Parte).
Egli, come chiede il caro matematico Odifreddi (si licet componere ecc.), si pone proprio la domanda: “se gli accidenti [del pane e del vino] rimangono in questo Sacramento [dell’Eucaristia] senza il soggetto [o sostanza] dopo la consacrazione. E, come in tutta la Summa, San Tommaso inizia col porre delle obiezioni a forma di quesiti che sembrano opporsi alla soluzione positiva prevista dal testo della questione settantasette: “Circa gli accidenti che rimangono [tangibili] in questo Sacramento [dell’Eucaristia] senza il soggetto o sostanza. E sembra proprio che ciò non sia possibile. Perché, scrive nell’obiezione terza, l’accidente, essendo la manifestazione (fenomeno) della sostanza, esiste concretamente nella realtà proprio per il soggetto o, meglio, per una sostanza che lo sostiene; niente sostanza, niente accidenti. Se, quindi, gli accidenti (del pane e del vino) rimangono senza soggetto (sostanza) in questo Sacramento [come di fatto è nell’ostia-panino, come dice la Fede] non sono più individui, vale a dire che non sono più individuati e identificati concretamente (ontologia) ma restano come universali (logica). Ciò che è falso, perché, così esistendo, non sono più sensitivamente esperibili ma solamente intelligibili, astratti, appunto, come gli universali della logica.
La risposta del XIII secolo al quesito dubbioso, anche al servizio del prof. Odifreddi e compagni martiri dell’angoscia ateistica del XXI secolo, è di una luminosità abbagliante. Ma è tuttavia una risposta della “scienza” teologica. Cioè è una risposta che può solo darsi nell’ambito della Fede, contro cui la scienza della ragione non può opporre nulla perché si confronta col Mistero del dogma rivelato che nessuno può comprendere né il credente né il non-credente: è su un altro piano.
4.      Il discorso di San Tommaso, a proposito della scienza teologica, nella prima questione della Summa, è di una chiarezza incredibile, addirittura accedente il precorrimento, come sopra detto, del non-euclideo.
Quando l’ateo o il non-credente, o chi diavolo sia, sostengono, in una delle scienze moderne, che nel Sacramento dell’Eucaristia la transustanziazione non è scientificamente possibile perché gli elementi chimici (o fisici) non possono esistere come accidenti percepibili (pane e vino) senza la loro sostanza o essenza o soggetto, essi fanno irruzione nel campo del soprannaturale oltre che della metafisica classica. Ma ciò non è possibile né a loro né al credente, perché i Misteri della Rivelazione cristiana fanno parte della «scienza di Dio e dei Beati» che nessuno può conoscere ma solo credere nella fede in Gesù Cristo. E se il non-credente insiste, come fanno gli Odifreddi e compagni ateisti, Tommaso risponde che «tutte le loro obiezioni non sono altro che argomenti o questioni solvibili», cioè respinte perché confutabili al lume della stessa ragione. Infatti nessuna scienza, neanche la chimica, cerca di provare i suoi principi fondativi ma: o li vede evidenti, o li deduce da una scienza superiore a cui si affida (crede), come l’ottica si affida alla geometria e la chimica alla fisica, alla quantistica, alla elettrodinamica, ecc. ecc. a cui si affida (crede). Così accade per la scienza o dottrina teologica che non può provare e dimostrare nulla dei suoi principi di fondazione che sono i Misteri di Dio, cioè sono la scienza di Dio e dei Beati. Ma, se contro la Fede cristiana e i Misteri rivelati avviene un’aggressione con ragionamenti che appartengono alle scienze razionali o esperimentali del sapere dell’umanità, a questi, da parte del teologo, si può sempre rispondere che non sono cogenti. Essi sono solo degli argomenti solvibili e confutabili perché si dimostra che le proporzioni con cui vengono espresse i temi della Fede rivelata da Dio e da Gesù Cristo non sono contraddittorie come avviene nell’algebra astratta e nelle scienze non euclidee, senza, naturalmente entrare nel merito dei principi da cui sono dedotte o fondate.
Così Tommaso conclude (Summa q. I, a. 1, c.): «Poiché, quindi, la Fede cristiana è rigorosamente fondata su una verità infallibile e della quale è impossibile dimostrare il contrario del vero, è fin troppo evidente che le prove che si portano contro la Fede non sono delle vere dimostrazioni ma solo delle argomentazioni sofistiche confutabili (solubilia argumenta)».
E così, cari amici ateisti, è meglio che non proviate a cercare dimostrazioni scientifiche contro la Fede cristiana perché San Tommaso e i Teologi che a lui si ispirano hanno già preparato enormi volumi di risposte che sono le Summae i trattati di teologia dogmatica da non confondere con la teologia razionale che opera solo con i principi e le tecniche della ricerca scientifica simile a tutte le scienze dell’umanità.







DISCORSO AD ALCUNI TEOLOGI CATTOLICI POST-CONCILIARI
LA SOLUZIONE TEOLOGICA



“Io vi darò lingua e sapienza a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere”.
(Vangelo secondo Luca  21, 15)
 
 






        Il dogma cattolico dell’Eucaristia è molto complesso per la comprensione dei significati teologici. Il tema che abbiamo trattato sul problema metafisico, sostanza-accidenti, è solo uno dei tanti. Ci aspettiamo dal nostro professor Odifreddi altri interessanti interventi, che ci daranno la splendida occasione di informare chi non conosce questi significati scientifici; magari senza scomodare il Santo Padre Francesco.
Un altro dei tanti, collegato al nostro tema, è quello dello spazio-temporalità. La teologia come scienza deve dar conto a chi ci chiede spiegazioni della soluzione, per via scientifica, del problema spazio-tempo nell’attualità del Sacramento dell’Eucaristia. Se Cristo è presente sotto le specie del pane e del vino secondo la Fede cristiana, ci chiediamo: che tipo di presenza è, visto che non si vede e non si tocca il Corpo di Gesù? La teologia dogmatica della transustanziazione, come abbiamo visto, ci ha dato una bella spiegazione sulle orme della tradizione teologica tomista e cattolica.
        Ora si presenta quest’altro problema che, suppongo, Odifreddi e compagni prima o poi ne chiederanno al “Caro Papa” conto e ragione.
Il quesito è: visto che nello stesso identico momento si trovano nel mondo molte presenze eucaristiche, si chiede: come è possibile che un solo unico Cristo, glorioso e celeste, si trovi poi identicamente moltiplicato in tanti luoghi (spazi) e nello stesso tempo (spazio-tempo)? Alla luce della scienza della logica sembra che questo fatto sia contro il principio logico-metafisico di non-contraddizione che è una delle leggi fondamentali del pensiero. E sarebbe un bel guaio se non si risolvesse per via teologica. Infatti, se non è possibile, in assoluto, che un ente esista e non-esista nello stesso momento simultaneamente e sotto il medesimo rispetto secondo tale principio, oppure, meglio: «niente simultaneamente può essere e non- essere», allora il dogma eucaristico manifesta una contraddittorietà logica e quindi ontologia (reale): una vera fallacia, un bluff.
E’ bene sottolineare, ancora, che detto principio si trasforma facilmente nel principio di identità (A è A): ogni ente è uguale a sé stesso, si identifica solo con sé stesso. E’ ciò che più ci interessa nel caso della presenza simultanea del Cristo nelle varie Eucaristie del mondo e che suscita un vero problema teologico (metafisico).
Il problema si pone così: se Cristo eucaristico è in questo spazio qui, mettiamo nella Chiesa di San Domenico a Palermo, come è possibile poi che nello stesso momento e sotto il medesimo rispetto il medesimo Cristo eucaristico si trovi, mettiamo, a Saint Patrik di Manhattam a New York? Sarebbe la violazione del gran principio di identità e, quindi, di non-contraddizione suo omonimo. Non è possibile ragionevolmente credere ad una cosa del genere. Cristo eucaristico sarebbe qui e non-qui: una mutilazione, un assurdo! La teologia deve trovare una soluzione metafisica e fisica spazio-temporale, e giustificare agli occhi degli increduli, come gli Odifreddi e compagni, che il problema è perfettamente solvibile alla luce della fisica e della metafisica, diversamente i suddetti miscredenti sarebbero, onestamente, autorizzati ad uno sberleffo per via della fallacia.
        La bella risposta metafisica intanto la troviamo in Tommaso (Summa III, q. 75).
Egli premette che la transustanziazione, e quindi la presenza della sostanza del Corpo di Cristo, è un fatto assolutamente soprannaturale (art. 4) che avviene proprio al modo della sostanza e quindi immateriale, e avviene solo per la potenza divina. La sostanza del Corpo di Gesù e del suo Sangue si sostituisce, proprio per virtù divina, come detto, trasmutandosi nella sostanza del pane e del vino, sempre rimanendo però gli accidenti: quelli che noi tocchiamo e vediamo nel loro spazio e nel loro tempo (oggi, ieri, domani).
Ora, noi sappiamo che Gesù, il Risorto da morte sicura, «siede alla destra del Padre» cioè è glorioso nel Cielo di Dio con tutta la sua sublime identità di Verbo Incarnato, Figlio di Dio: «quietum residet» (76, 6, contra). E, perciò, non può concepirsi spazializzato, termporalizzato e moltiplicato nei pani e nei diversi spazi e tempi secondo le categorie della fisica e della metafisica aristotelica.
Ed allora, il mio Cristo nei tabernacoli di tutta la terra che significa?
La risposta è la seguente.
a)         La presenza del Cristo nel Sacramento dell’Eucaristia e, quindi, nel tabernacolo non può essere concepita spazio-temporalizzata: qui ed ora. Dice San Tommaso (Summa III, qq. 76-77) che il Corpo di Cristo nell’Eucaristia non si tocca, non si spezza, non cade, non si trasloca, non si mastica. Ciò appartiene solo alle specie eucaristiche: gli accidenti del pane e del vino (77, 7, c.) e per nulla alla “sostanza” del Corpo di Gesù lì presente.



“Il saggio ha gli occhi di fronte, ma lo stolto cammina nel buio”.
(Bibbia, Libro del Qoèlet, 3, 1-3)
 
 





b)         Egli è presente proprio «al modo della sostanza e non al modo della quantità» (76, 2). La sostanza, nel senso aristotelico, è l’essere intimo di tutto ciò che esiste : gli enti. Per: essere intimo di un ente intendiamo la struttura fondamentale e necessaria che lo distingue da ogni altro. Ora, l’intimità necessaria di questa struttura, la sostanza, è rappresentata da un concetto logico che esprime la realtà metafisica: si tratta infatti di ciò che è al di là del divenire delle cose e degli accidenti cangianti percepiti dei sensi. La sostanza è, perciò, una realtà necessaria ed eterna, e quindi  solamente intelligibile che, quindi, fonda in sé stessa il suo statuto categoriale: altro è sostanza altro sono gli accidenti da essa manifestati.
            Un equivoco: la quantità, come accidente della sostanza delle categorie aristoteliche, oggi si confonde con la “materia” della fisica. Il discorso ci porterebbe fuori. Andando però, al nostro: la sostanza del pane è ciò per cui il pane è pane e non una pietra; questa struttura (ciò per cui è tale) è uguale per tutti i pani del mondo e per tutti i tempi a prescindere dalla quantità, dal colore, dal profumo, dal luogo o tempo, cioè dagli accidenti. Essa viene però individuata qui ed ora, nella concretezza della realtà, dagli accidenti propri: la quantità, la qualità, lo spazio, il tempo, ecc. (le dieci categorie aristoteliche). Per esempio: questo pane che sto mangiando è realizzato come tale, e non come pietra, dalla sostanza metafisica di pane. Esso viene individuato come questo qui che sto mangiando, e non come un pane che si trova in India, dalla quantità e dai suoi propri accidenti, compreso il bel profumo.
            Si tratta di concetti metafisici, e perciò ardui per chi non è allenato in questa storia.
            Alcuni filosofi, gli empiristi, i positivisti, ecc. hanno negato il concetto e la realtà della sostanza. Proprio per questo mi meraviglia come mai Odifreddi e compagni, ottimamente positivisti, poi trattano il tema dell’Eucaristia con il perfetto utilizzo dei concetti di sostanza, accidenti, ecc. L’aborrita metafisica li ha forse straniati?
            Ora bisogna applicare queste nostre riflessioni sull’essere-sostanza della metafisica aristotelico-tomasiana al tema dell’Eucaristia che stiamo trattando sotto la spinta dei moderni miscredenti.
c)         Il Cristo Glorioso e Divino del Paradiso (Siede alla destra di Dio Padre”) è presente in tutte le specie consacrate del pane e del vino (Eucaristia) al modo della sostanza di cui abbiamo parlato (Summa q.76, a. 1, ad 3m) «per modum substantiae»: si tratta di una presenza nel mistero soprannaturale. Di conseguenza la sostanza del Corpo di Cristo non si tocca, non cade ed è fuori dello spazio e del tempo, come la sostanza di tutti gli enti che viene individuata dagli accidenti. Essa, però, viene individuata nell’Eucaristia, qui e ora per i credenti, attraverso le specie del pane e del vino consacrate che però non ineriscono alla sostanza del Cristo eucaristico ma «sono sostenute dalla potenza divina» essendo avvenuta la transustanziazione.
            La presenza della divinità del Cristo Glorioso, inoltre, non avviene per moltiplicazione, perché ciò sarebbe contro i principi  di non-contraddizione e di identità; cosa inconcepibile. Essa avviene «per contiguità o concomitanza» (76, 1), vale a dire per una «relazione trascendentale» tra il Corpo glorioso di Gesù e le Eucaristie che si celebrano in tutto il mondo nello spazio e nel tempo della storia.
d)         Questa relazione trascendentale è come una proprietà interna alla res essenzialmente e necessariamente posseduta della sostanza del Corpo di Cristo nelle Eucaristie di tutto il pianeta.
La teoria delle relazioni interne è oggi ancora al centro delle attenzioni di molti filosofi (cfr. Ruth Barcan Marcus, Essential Attribution, in «The journal of Philosophy», XVIII (1971), 7,  pp. 187-202.
            Perciò quando noi ci mettiamo in adorazione dinanzi al Sacramento o riceviamo la comunione o solamente assistiamo alla celebrazione eucaristica (S. Messa) noi ci troviamo immersi e partecipiamo al mistero di una presenza celeste. Come se il Paradiso di Dio col suo Cristo Glorioso si accostasse a noi in relazione essenziale e necessaria e ci coinvolgesse. Forse, meglio, è come se noi fossimo resi partecipi della dimensione soprannaturale del Cielo di Dio e del suo Verbo Incarnato. Insomma siamo come in Paradiso. Vogliamo chiedere conto dello spazio e del tempo di quaggiù?

Credo che per tutti i miscredenti questa bella teologia possa bastare per dire, come San Tommaso, che ogni esigenza scientifica è soddisfatta e che non esiste alcuna contraddizione che sia contro i massimi principi della logica e della metafisica. Non è più affatto consentito, per logica, mescolare il piano della fede e quello della ragione. Chi producesse questa anomalia scientifica: o è in mala fede o non comprende gran che di queste faccende.
Suppongo che ciò possa bastare perché i bravi fisici, cosmologi e scienziati non credenti non molestino più il “Caro Papa” il quale ha ben altre cose a cui badare con grande pietà cristiana per il mondo sofferente o abbandonato. Tutte cose, queste, che minimamente hanno interessato mai gli illuministi di tutti i tempi.
Siamo pronti ad ogni confronto con il coraggio dei leoni perché il Cristo Gesù ha detto e stabilito: «Vi darò il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutte le potenze del nemico: nulla potrà danneggiarvi» (Vangelo di Luca, 10, 19). Amen!


Palermo, Festa del Corpus Domini 2013

           
                                                                                                          P. Antonino Stagnitta O.P.
                                                                                                          Teologo domenicano
                                                                                                          Palermo, Capitale Ideale d’Europa

martedì 12 marzo 2013

NUOVO REALISMO. LA «VERITA’» DI UNO SPETTRO. «FATTI E MISFATTI»: UN ELEGANTE DIBATTITO

di Antonino Stagnitta, da Dissoluzione e speranza, EDI, Napoli 2009 p. 94 ss.



Preambolo con rasoio di Ockam


Oltre al rifiorire degli studi veramente importanti di logica formale e simbolica oggi ne viene trascinata anche la metafisica. Basta dare un’occhiata agli studi di logica interattiva, alle scienze cognitive ed informatiche che connotano, attraverso l’esperienza di una intelligenza artificiale (IA), una posizione obiettivante del soggetto come ripristino metafisico dell’io.

Vale a dire che le scienze cognitive ed informatiche tendono a ricostruire in qualcosa di artificiale (se ci riusciranno, ma significativa è già la sola tensione) la possibilità che l’intelligenza umana non solo possa obiettivarsi ma addirittura diventare quell’ente oggetto da sempre opposto dalla filosofia tradizionale all’essere del soggetto. L’oggetto diventa così come un soggetto, seppure algoritmico, che a sua volta porrà il soggetto uomo, come conoscenza, nella condizione di conosciuto cioè diventato oggetto. I ruoli non solo sono rovesciati ma addirittura commisti.

            In questo mondo di quaggiù effettivamente dobbiamo rassegnarci a riconsiderare seriamente la condizione quantistica della realtà che non oppone più in contesa i due poli: conoscere e conosciuto, ma integrandoli li congiustifica. Metafisica / logica, fisica / positivismo non si dovrebbero più violentemente combattere (Lévinas) come eterni nemici ma planare, dolcemente coesi, in una concezione scientifica del mondo e del suo esser tale.

 

 

            Pensare ed essere, dunque, sono l’essere che-è e che non può non essere: il positivo. Hegel ha visto questo positivo nel concetto, che è come «un dire», un lògos. Così viene razionalizzato ontologicamente il caos del divenire totale che al contrario, ciò può benissimo avvenire nel ruolo divino della matematica senza monismi panteistici di sorta: la matematizzazione del mondo. Il “concetto” hegeliano, come pensare, non è più l’essenza stessa delle cose o il loro «in sé» ma l’essenza stessa delle cose come pensate, altrimenti che senso avrebbe pensare? Pensare che cosa?
            All’inverso: l’essere ed il pensare sono il tutto della realtà così come essa è e non può non essere nella sua splendida e divina essenza. Tutti: filosofi, poeti e scienziati la possiamo «contemplare» nel suo imporsi a noi conoscenti come vita meravigliosa e stupenda. Non è certo un nostro parassita molesto e stolto.
La Natura è l’oggetto che ci giustifica, e noi i conoscenti l’oggetto, giustifichiamo la Natura.
Bene fa Nietzsche e tutti gli antimetafisici similari a proclamare la metafisica una finzione illusoria del vero e caldo mondo di quaggiù. Perché di questo tipo di metafisica platonica ed iperuranica, fantasiosa e mitica, ne siamo tutti veramente schifati come una maschera da teatro senza cervello. E medesimamente ammirevoli sono tutti gli esorcisti del sito nucleare di tale metafisica dove è allogato solennemente il concetto di un dio-menzogna, tutto fare, e proiezione antropomorfa di cui avremmo bisogno noi tutti umani proiettati in questo caotico e crudele mondo di fuochi galattici: il divenire.

Sono tutti stupendi pensatori pregevoli perché finalmente hanno avuto il coraggio di leggere in profondità tutte le mitologie della loro caverna per poter uscirne fuori ed ammirare il nostro vero caldo mondo della realtà. La metafisica e il suo dio, capo e “pastore dell’essere”, non possono esistere perché sono un vero frutto della fervorosa fantasia di poeti filosofi e di molti cantastorie che si credono illuminati da splendidi raggi di luce divina: ammettere il divenire perenne dell’essere lo impedisce (Severino). Tuttavia, il saggio salmista (Salmo 13) parla di una idiozia nel negare il Dio vero, mistero insondabile, più che negare un dio frutto di fantasie empirico-sensiste e di antropomorfiche proiezioni (Feuerbach – Marx).

Non è questa certamente la metafisica e il suo Dio di cui va parlando la tradizione aristotelico-scolastica. Essa è stata interpretata troppo metafisicamente. Noi spesso ci troviamo di fronte a plateali eccessi di fervore mistico-metafisico che vedono filosofi, giudicati seri, gestire con grande allegria metafisica, sciolti da ogni concreta realtà scientifica e cosmologica, i più difficili concetti dell’epistemologia e di ogni faticosa ricerca della verità. Come, per esempio, quel tale che interpreta solennemente il divenire caotico e pantomorfo del mondo alla maniera dei più saggi metafisici. Solo che applica a questa lettura del mondo irrazionale e caotico una sorta di logica scovata non si sa in quali meandri della razionalità cognitiva umana. Ed, invero, si rimane profondamente perplessi quando ci si trova dinanzi a riflessioni antimetafisiche che manifestano troppo chiaramente non solo strutture logico-cognitive scientificamente inaccettabili ma addirittura intrecci di interpretazioni della realtà che più metafisici non si può: la metafisica della maschera da teatro, ma che «cerebrum non habet», senza alcuna ragione.

            Fuori metafora: diciamo che sovente la metafisica rigettata da empiristi, positivisti, poeti e cantastorie è propriamente una metafisica o una cosmologia e una teologia frutto della loro fervida fantasia che non ha nulla a che vedere con l’autentica metafisica della tradizione aristotelica. Perciò, a ben vedere, essa va rifiutata in blocco come va rigettato il concetto di un dio fantasioso e pantamorfo che non esiste. Il Dio vero, di chi fu, di chi è e di chi sarà, è tutt’altra cosa. Purtroppo il fantasma della metafisica ininfluente elaborata da tanti bravi pensatori che si crogiolano in essa, credo disturbi parecchio i loro sogni tanto da farli parlare come stralunati.
Ecco un bell’esempio: Emanuele Severino, ormai filosofo di fama a cui parecchi si rivolgono con parecchio sussiego, scrive: «Dicevi tu [Vattimo] … che le parole «essere» e «niente» sono astratte e indeterminate. A me pare che potremmo essere anche un po’ più ottimisti: sono parole, ormai, non più così estranee al pensare comune. Tutti, più o meno, oggi sono convinti che nascere significhi venire all’esistenza, e morire significhi andarsene dall’esistenza, cadendo nel niente (E. Severino, La legna e la cenere. Discussioni sul significato dell’esistenza, Rizzoli, Milano 2000, p. 85).
Se tutti, anche tu, Severino.
L’invito all’ottimismo sembra avallare in qualche modo «queste grandi categorie del pensiero greco: l’essere (esistenza) e il niente». Sennonché è una questione non solo di metafisica ininfluente ma anche di concetti scientificamente fuori senso. E, infatti: «venire all’esistenza» e alla morte «cadere nel nulla» sono enunciati tautologici; nascere = essere, e morire =  nulla (essere e nulla) descrivono una formidabile fallacia dialettica gestita con candido sussiego. E a nulla vale attribuirli all’inconscio della civiltà occidentale (Occidente) come se questa avesse pensato che «le cose sorgono dal niente e vi ritornano» al niente. Fra l’altro questa civiltà occidentale e cristiana (da non confondere con la fede nella creazione dal nulla) è stata per decenni corrotta da profeti di sventure nichiliste post-filosofiche e da illuminazioni accecanti che si sono arrogati il monopolio della verità dopo averlo tolto agli Aristotelico-scolastici che l’avevano tenuto gelosamente e sapientemente per troppo tempo.
            Qui il terrificante problema del senso dell’essere come del grande cercato di tutte le filosofie e dell’esistenza dell’essere in faccia al nulla, e del perché l’essere anziché no, è affrontato con allegria metafisica, e con gioconda incredibile confusione concettuale. Infatti accusare che nascere è nella cultura cristiana come venire dal nulla e morire un ritornarci significa aver sciolto brillantemente il nodo di Gordio: tagliandolo con la spada. Un falso in bilancio.

Io so per certo che noi non nasciamo dal nulla ma da un ovocita maturo o cellula-uovo e uno spermatozoo, dove in forme infinitesimali, ma reali, c’eravamo noi. Così anche con la morte non «si ritorna nel nulla» ma nell’infinitesimale e reale polvere della terra. Lo ricordava persino, tanto tempo fa, il saggio Qoelet (3, 20) il Predicatore biblico (Salomone): «Tutto è venuto dalla polvere e tutto ritorna nella polvere». E mi pare che gli Scolastici (Occidentali), trattati da sprovveduti e nichilisti (?) mentre erano gran signori umanisti, filosofi e scienziati dignitosi e spesso geniali pensatori, abbiano suggerito alle belle menti, per evitare plateali equivoci, di distinguere tra nulla come essere-ente ancora nella potenzialità (in potenza) di divernirlo, e nulla in assoluto come totale carenza d’essere. Per cui, mescolando questi due diversi nulla in una pozione velenosa da dar da bere agli assetati, si avvelenano i malcapitati, provocando un crimine pedagogico contro la candida logica dell’umanità infantile.
            E, invero, sostenendo che nel nascere tutti noi viventi in questo sublime universo di fuoco traiamo esistenza dal nulla e da niente si creano innumerevoli orfanotrofi quantistici perché viene misconosciuto il flusso della vita che si è veicolata attraverso gli antenati nel corso dei millenni. Ancora oggi gli scienziati non conoscono la pregressa soluzione finale: da dove? Evoluzionismo o che cosa? Creazionismo? Da dove? Convergendo, però, nella onesta teoria del fango o brodo primordiale, dove tutti proveniamo e dove tutti andiamo a finire, come rispettivamente affermano Bibbia e Darwinisti del XXI secolo. E prima? Supponiamo ci fosse l’eternità dell’essere… e non il nulla. Ma l’eternità, per definizione, non ha origine né fine: ma noi siamo ora e qui come un’origine e una fine. Perciò, da dove l’inizio?
            Ci sono a nostra disposizione due soluzioni originarie: la creazione di tutte le cose, da parte di Dio, dal nulla in assoluto, e il Big Bang, folgorazione di tutte le cose dal … nulla in assoluto. Quale noi vogliamo scegliere? La stessa teoria evoluzionista porta alla fine a questa problematica finale. Il concetto di fango o brodo primordiale prima della vita sulla terra sembra veramente ovvio: dopo la morte, siamo tutti fango e polvere, così sarà stato anche prima di venire in vita. Perciò, sarebbe meglio dire: veniamo dal fango e al fango ritorniamo (come ci ricorda il prete il Mercoledi delle Ceneri per l’inizio della Quaresima).
            Per il resto non sappiamo il resto di nulla.
            Parlare, invece, di “nulla”, “essere”, “esistenza”, “essere sospesi” (forse ad un gancio appeso al cielo) tra “un niente iniziale e un nulla finale” significa infilarci a tutta velocità e forza nella metafisica e tra assai concetti fideistici. Perché di quelle cose non abbiamo nessuna, dico nessuna, esperienza. Mi pare che sia lo stesso discorso creazionista. Solo che si sopprime Dio e al suo posto si suppone il Nulla … Infatti creare significa trarre dal nulla tutte le cose: il Nulla, se è nulla, da sé non esplode nel Tutto. Spaventosa contraddizione.

            Il genuino forsennato dibattito dell’antropologia moderna e di tutte le scienze genetico-molecolari per saper qualcosa del prima e del poi, considerando l’esistere dell’attuale mente umana autoconsapevole, sono segno potente di tale lotta angosciosa del pensiero: altro che niente e nulla! Tutti vogliono sapere. La teoria creazionista [aristotelico]–tomasiana, e oggi del protestantesimo americano, l’evoluzionista (darwiniana), la panspermatica come vita venuta quaggiù da lontane galassie (Hoyle-Wickramasinghe) e altre che sono o volessero essere elaborate sono tutte sorte per sapere come è apparsa la vita sulla terra. Alla scienza sperimentale non importa nulla della metafisica parmenidea dei vari Severino-scettici e del nichilismo dei vari nietzscheiani ribelli. Tutti studiano per sapere e conoscere e risolvere l’enigma fondamentale del come è sorta la vita cosciente sulla terra: punto! E siccome l’enigma ancora pare non sia stato sciolto, chi taglia corto e va oltre, verso il nulla, fa vieta metafisica che più indecente non si può. Chi poi vi costruisce sopra parecchia filosofia inizia semplicemente a suonar violini per bambini e a raccontar favole da Mille e una notte, tanto per non perire sotto spada esaurendo i racconti. Se l’essere è sempre, la vita da dove? Da sempre…!? Scivoliamo verso il buddismo dell’eterno ritorno. Altro che metafisica.

            L’essenza del nichilismo è la filosofia contemporanea compreso il Neoparmenideo (Severino). Già lo stesso termine “essenza”, pronunciato e scritto con parecchia enfasi, ci trasporta subito in seno alla più classica delle metafisiche, alla esseità della sostanza, all’essere che è e che, se è (per usare Severino), non può non essere. Ma similmente essa ci appaia tutti, aristotelici, cristiani e panspermatici, a gente corta di memoria responsabili «della dimenticanza della verità dell’essere». Intuizione brillante se non fosse affetta dalla altrettanto classica sofferenza di autismo. Per cui la riflessione di millenni di geni e meno geni non ha visto chiaro e combinato il pastrocchio «dell’alterazione e quindi della dimenticanza del senso dell’essere». Anzi, addirittura «le conquiste più preziose del filosofare si muovono all’interno di una comprensione inautentica dell’essere». (E. Severino, Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 1982, pp. 19-35).

E  così, giù a valanga parole come «mistificazione metafisico-teologica dell’essere», «arbitrarietà dell’interpretazione heideggeriana», «tentativo storicamente aberrante», «discorso che, appunto, non è stato capito (…) dagli aristotelici e dagli scolastici vecchi e nuovi», [tenebrarum magistri, andava scrivendo un certo Tribbeschow (Tribbeschovius Sec. XVII) in un libro singolare], «modo radicalmente scorretto di presupporre la determinazione al suo rapporto negativo con la propria negazione», e così via con parole di aliena buona creanza. Infatti, decidere di far polpette dall’oggi al domani del pensiero filosofico della migliore umanità in ossequio all’intervento pesante di qualche divinità olimpica partorita dalla mente di un dèo significa l’assoluto pregiudizio. Per cui, finalmente! “io” ho scoperto, per segreti fati, la vera via della verità intera quando tutti gli altri, ammaliati dall’estatica e terribilmente magica contemplazione dell’essere e del nulla, sono stati fuorviati sino all’oblìo definitivo del problema del senso dell’essere: tradimento che si va «perpetrando» in seno al Cristianesimo.
Ipse dixit!
            Fortuna volle che un Noé si salvò dal diluvio ed eccoci qua a sentire che la religione cristiana «ha provocato grandi sofferenze nella più recente storia dell’uomo (…); barbarie, la gran barbarie del pensiero, che è bigotteria, per cui esistono ragioni profonde per non far il cammino in tale compagnia» (Cfr. E. Severino, Discussioni, in “la Repubblica”, quotidiano, 1998, Id. La legna e la cenere. Discussioni sul significato dell’esistenza, Milano 2000, p. 154). Puah! alla larga! Ché puzzate di roghi, fumo e crociate che hanno annebbiato il cervello a uomini che di uomini poco ne hanno, fino ad obliare definitivamente addirittura il genuino problema del senso dell’essere. L’essere è morto per colpa della vostra nullificante barbarie bigotta, ed allora: viva l’essere! quello mio, prestato da Parmenide e dai soli occhiuti che l’hanno saputo interpretare genuinamente senza barbari tradimenti… esso è e non può non essere, mentre il nulla non-è.
            Vogliamo vederci chiaro in questa “gigantomachìa perì tès ousìas titanica battaglia-lotta intorno al concetto di sostanza-essere-essenza, nulla e dintorni?
            A dopo.

Preambolo II° (continua)

Il cristianesimo e l’ateismo ritrovato

di A. Stagnitta (collega di Tommaso)

            «Il Cristianesimo e la teologia tradizionale – sbotta, deprecando, il Severino (Essenza del nichilismo, p. 260 segg.) – generano naturalmente e legittimamente l’ateismo, l’immoralismo e l’anticristianesimo del nostro tempo. Il mito della forza è l’inevitabile prodotto del mito della cultura, la tecnica è l’erede naturale e legittima di Dio».

            Il povero Cristo inchiodato al legno, nel sangue che schizza e zampilla, invece del Padre ci ha «generato» un Nulla dell’essere: Padre mio – grida rauco e morente – ma dove ti sei cacciato, perché ti nascondi e mi abbandoni al nulla della morte? Mi accusano di aver cagionato l’ateismo, l’immoralità, l’Anticristo. Ma dove ti sei nascosto, Padre di tutti noi che ci hai prodotto dal Nulla? Forse hanno ragione? Se non ti vedono e non ti sentono parlare come è possibile che possano credere in te? Ti prego: fatti vedere e toccare «se tu sei dappertutto», e tutti si prostreranno e crederanno in te e nel tuo Cristo. Molti credono di averti ucciso, sepolto e nientificato solo perché coll’intelligenza che hai dato loro sono riusciti a metter su delle pentole di fuoco che sfrecciano verso i cieli delle galassie; o forse perché, frugando e cercando nella foresta, sono riusciti a trovare fra tanti animali e creature varie gli antigeni alle loro malattie. Non le avevi create tu tante belle cose? Non avevi tu prodotto ogni ben di dio a disposizione di queste creature, formate di «poco inferiori agli angeli»? E allora perché nel momento in cui io, per tua volontà eterna, mi sono permesso di insegnar loro come comportarsi per avere la felicità, quaggiù e lassù, mi rinfacciano:

- Tu, Cristo, hai generato il Nulla dell’essere. Al tuo patibolo si deve la morte di Dio e l’immoralità dilagante. La tua parola, tagliente come spada a due lame, ha tranciato il cordone d’ombelico che ci legava all’Onnipoderoso Padre celeste. Per colpa della tua irruzione nella storia di questa terrestre umanità si è scoperto che «il mito della forza è l’inevitabile prodotto del mito della cultura».
Ed infine, caro Gesù, mi dispiace, ma la forza persuasiva della tua staurazione è la responsabile primaria e senza appello, «naturale e legittima», della forzata cultura tecnologica che, istauratasi attraverso l’umanesimo nelle aree culturali cristiane, ha sostituito la tecnica all’Onnipotente Iddio.
Ma, come mai è accaduto – mi vien da dire – che proprio lui, il Cristo cristiano, nel momento in cui ha portato il mondo alla luce, perché «Io sono la luce del mondo» (Vangelo di Gesù secondo l’Apostolo Giovanni 8, 12), poi fu inevitabile e legittima la morte di Dio e la sua sostituzione con i Paradisi della tecnica? Come fu possibile che «l’apertura al mondo da parte della Chiesa Cattolica [sia] l’episodio più significativo» di alleanze, come la metafisica greca, la scienza moderna, la civiltà tecnologica? Esse sono la storia genuina del connubio del Cristianesimo con le forme emergenti di volta in volta nel mondo di quaggiù del «dominio nichilista» da cui è stata catturata. Che tipo di escrescenza è stata questa che, nel momento in cui vuol salvare il mondo, il povero Cristo e la sua Organizzazione (Chiesa), con la riflessione teologica tradizionale intransigente, hanno invece prodotto il trionfo del nichilismo? Presto detto: il responsabile di tutto è la scoperta del concetto o riflessione teologica o cultura metafisica o come si voglia chiamare, che «ha stabilito quella nientità dell’ente [corsivo mio] che rende possibile ogni manomissione tecnologica della terra».

La metafisica è diventata: le città, le macchine, l’industria, il mondo caotico contemporaneo… Essa è responsabile del fatto che ha concepito, pensato, elaborato, fecondato, ideato, altro che astrattamente!, che l’ente esce e ritorna nel nulla. Vale a dire che tale metafisica nel momento in cui scopre e pensa questo monstrum: che l’ente (essere?) esce e ritorna nel nulla in uno scorrere inarrestabile che è il divenire, allora e solo allora si può progettare la costruzione e la distruzione totale dell’ente: la civiltà delle macchine. Purtroppo essa genera il nichilismo, la morte di Dio, la rovina cosmica della civiltà cristiana.
Potenza del nulla d’essere! Ma come fu che l’essere, pur necessario che sia [quando è], come bellamente detto da Parmenide ed Aristotele, ora si scopre che possa anche non-essere, cioè essere niente? Chi è stato così tardo da produrre “la nullificazione dell’ente”? E’ il trionfo del nichilismo e di tutte le moderne mercificazioni e contaminazioni della purezza dell’essere che è e che non può non essere, come ci svelò la contemplazione parmenidea. Lui, e solo lui, la scoprì e la colse nella sua istantanea ed eterna purità: beati i puri di spirito e di cuore perché vedranno l’essere! Non è possibile che qualcuno, oggi, immerso nella plurisecolare interpretazione dell’essere e nella gigantesca battaglia intorno alla sua concezione, possa rivisitarlo e volerlo contemplare nella sua genuina ed originaria purità come l’hanno visto e contemplato quei grandi e terribili pensatori presocratici…

            Ma poi, cosa è “essere”?
            Ecco la litania:
            «l’essere è:
            la totalità delle differenze
            l’area al di fuori della quale non resta nulla (…).
            L’essere è
l’intero del positivo. E proprio in quanto c’è coscienza dell’intero (…),
            tutte le determinazioni manifeste [del molteplice] che si presentano
            iscritte nel perimetro dell’intero:
            questo foglio,
            questa penna
            questa stanza […]
le fantasie, le attese, i desideri e tutti gli oggetti che sono presenti. Ogni determinazione è una positività determinata, un determinato imporsi sul nulla: essere determinato (ente)».
            Ecco cosa è l’essere! E’ tutto questo, e ancora di più.
            Siamo nel circuito infinito dell’interpretazione dell’essere… che non ha fine perché mettere un limite all’interpretazione dell’essere significa conoscere tutto l’essere percependone ogni sua determinazione, compreso l’essere del divenire e il divenire dell’essere ed il suo limite. Ma esaurire la percezione di ogni determinazione dell’essere equivale a dire che l’essere è, quando è, mentre al di là non c’è nulla. E non esserci nulla significa solo ed esclusivamente che l’essere copre tutto, è infinito. Esso copre ogni vuoto.
            Ecco lo scandalo: «se si dice che questa penna non è, quando non è (Aristotele) si dice che questo positivo è negativo».
            Fatemi grazia: questa penna plume che si dice non essere quando non è, cosa significa? Come può essere che questo positivo sia negativo? I professionisti della metafisica si sono purtroppo «dimenticati nientemeno» di considerare che il nulla può essere predicato e detto solo del nulla: che il «non è» si può dire solo del nulla […] e mai di una qualsiasi determinazione dell’essere, compresa la penna. Diversamente si commette un parricidio, un crimine: si uccide l’essere, lo si nientifica, si dice positivo ciò che è negativo e viceversa. E’ la grande menzogna nichilista soprattutto della concezione creazionista della Patristica e della Scolastica, «formidabili determinazioni della metafisica occidentale». Esse sono «il trasalimento di una coscienza che ha dimenticato la verità dell’essere e pure ne ode la voce sommersa (…). Da due millenni l’alienazione metafisica depone sulla terra i suoi prodotti, che sono pertanto le opere dell’alienazione. L’intera civiltà occidentale è ormai un prodotto dell’alienazione metafisica». La gallina ha deposto le uova ma purtroppo esse non si possono mangiare: sono d’oro!

            Mi domando: Platone, Aristotele, Avicenna, Tommaso e tutta la Scolastica occidentale, antica e moderna, Heidegger, che cosa hanno capito se ci hanno così platealmente fuorviato e condotto al nichilismo più sfacciato e demolitore? Non si nasconde certo la complessità del problema: ma che questi giganti contemplatori dell’essere abbiano stravisto e travisato tutto mi sembra una delle tante interpretazioni dell’essere a cui si può aggiungere, con semplicità, l’ultima lettura da stravedenti, pur lecitissima nel suo verso apocrifo. Ma l’essere è ricchezza infinita, non è discorso d’Accademia. E, perciò, via la chiacchera! Ogni cicaleccio indica che la saggia formica male ha fatto a non aver cantato a crepapelle per tutta l’estate invece di immagazzinare frumento. Vogliamo vederci più chiaro e ottimizzato, se possibile, in questa gigantomachìa perì tes ousias titanica lotta intorno al concetto di sostanza-essere-essenza?
            A dopo.

TUTTI INTERESSATI AL “CARO PAPA TI SCRIVO” - I FUNGHI PARASSITI DI MISCREDENTI
Severino e «il gran turbamento della fede» dopo la «nobile rinuncia di Benedetto»

            Mi sembra «legittimo» per ogni pensatore interpretare i fatti e gli avvenimenti dell’oggi dalla propria cattedra di pensiero. Credo però che i Nostri debbano seguire la via maestra che porta alla verità. Senza questo rigoroso itinerario tutti ci trasformiamo in cantastorie. Questa via è quella che sempre è stata indicata a tutte le scienze dell’umanità dalla ragione logica. Al di fuori di questa via della logica c’è solo l’arbitrio ed «il trasalimento di una coscienza che ha dimenticato la verità dell’essere».
            Ed ecco finalmente l’intervento per il “caro Papa” del gran parmenideo che, pur «esistendo ragioni profonde per non far il cammino in tale compagnia [della religione cristiana] la barbarie, la gran barbarie, che è bigotteria (…) che ha provocato grandi sofferenze nella più recente storia dell’uomo [in tutto il pianeta?] (cfr. Discussioni, in “la Repubblica”, quotidiano 1998), finalmente si sbilancia. Partorisce la montagna e nasce un ridicolo topo. La montagna sono le «grandi sofferenze nella più recente storia dell’uomo [in tutta la terra]», il ridicolo topo è l’attribuzione alla religione cristiana, cioè a Gesù Cristo, di tali spaventose sofferenze.
            Per un istante ho creduto che si stesse parlando delle stragi napoleoniche (a favore della sua famiglia), o forse alle terribili sofferenze inferte all’umanità dalla follia nazista, o forse ancora, per un attimo, ho pensato alla rabbiosa criminalità staliniana con milioni di morti con fame e miseria, alle mondiali diversificazioni criminali polpottiane e di mezzo mondo contro le miserabili popolazioni illuse e tribolate dalle dittature comuniste (anche in Italia con le Brigate Rosse e compagnia bella). A tutto questo ho pensato, senza dimenticare le stragi di buoni cristiani nella Spagna della guerra civile e dei martiri cristiani di mezzo mondo nelle terre degli imperi islamici (cfr. gli Armeni di Turchia). A tutto questo pensai. Ma, svegliandomi dal sonno drogato, mi sento invece rinfacciare, a me cristiano di Gesù, tutte quelle scelleratezze e «grandi sofferenze». Forse scelleratezze per i tanti missionari in Africa a cerca di sollevare quelle immense regioni immerse nella più orrenda miseria e nello sfruttamento? O forse sofferenze per le varie “Madre Cabrini” nell’America degli affamati moribondi emigrati scacciati dall’Europa dei Massoni e dei filosofi cialtroni nietzscheiani e parmenidei parabbuddisti dell’eterno ritorno? O forse, ancora, per i tanti Giovanni Bosco che educarono maree di bambini e bambine altrimenti destinati dai Governi Unitari, dalle “leggi eversive”, alla morte per miseria? E che dire della Madre di Calcutta? Vorrei vedere al loro posto tanti vili professorini universitari gestire la miseria del terzo mondo con le loro fantasiose teorie sul “sistema del mondo” parabbuddiste, bloccati nella più assoluta forma ontologica nel vero nichilismo del Nirvana? Mi sveglio da questo sogno drogato e cerco di risuscitare le ragioni della scienza e la scienza della ragione, contro le vigliaccherie di antichi compagni di cordata della “salvezza” del Cristo Risorto da morte sicura.
PRIMA INTERLOCUZIONE
            Ed invero: qui si fa confusione e si dicono menzogne per gabbare gli inesperti poveri alunni della università e il popolo che legge i quotidiani.
            La prima menzogna: si mescola la fede religiosa (suppongo quella cristiana di cui la Chiesa è vertice) con «altre fedi» quali: «il capitalismo, la democrazia (sic!), il comunismo-capitalismo cinese, il comunismo sovietico, l’Iran… Ognuna di esse fedi si sente un dio che deve distruggere (sic!) gli infedeli». Una mescolanza che assume il sapore di una confusione dei neuroni-specchio della corteccia cerebrale e un marchio ibrido dei lobi e aree pertinenti.
            La seconda furberia puerile: viene indicato il «relativismo come avversario che scuote e travolge quelle forze (comunisti, democrazia, capitalismo…) dunque anche il cristianesimo» che il “caro Papa Benedetto” non riesce a combattere seriamente perché usa mezzi troppo pastorali: con l’ingenuità non si vince un’ingenuità.
            E così il caro filosofo si erge a gran pedagogo e medico di quelle moribonde fedi: se volete vivere più a lungo dovete abbattere il gigante “Prometeo” che è partorito dagli inizi della filosofia moderna che, con Cartesio, è la matrice di tutti i mali per queste fedi.

            Ecco quindi il gran suggerimento per abbattere non un nano ma il gran gigante Prometeo con la speranza di poter «vivere  un po’ più a lungo» mantenendo l’affannoso respiro.
            Volete salvarvi? Ecco la medicina, la mia medicina messianica: seguire l’ordine immutabile della Natura penetrando la barriera che si pone dinanzi, «sfondandola, squartandola», credo con la forza della disperazione di non voler morire ma, almeno, vivere un po’ di più.
            A questo punto, il nostro seguace del sacro Buddha si immerge in un soliloquio culturale ricavato dalla mitologia greca, con la sua dinamica necessariamente fantasiosa, e dal “sacro” mito di Adamo proto-batterio ed Eva mitocondriale, procedendo a castigare «la tradizione e la Vita della fede (cristiana)» con incredibili analogie di proporzionalità, al modo della logica e dell’algebra astratta con tutte le altre fedi compreso il comunismo–capitalismo cinese. «Prometeo ora ruba il fuoco dell’alleanza dell’uomo con Dio. E’ la potenza di questo furto a nascondersi (…) sotto le “rapide mutazioni del nostro tempo turbato da questioni di gran peso per la vita della fede» (cristiana). Amen!
            La stanchezza mi opprime dinnanzi a questo magnifico cartone animato di modernissimo “Simpson's” e, perciò, rimando alla prossima volta” come si sente dire San Paolo all’Areopago dai filosofi ateniesi. Sant’Antonio mi sta bruciando: pazienza!

A dopo

A. Stagnitta




Recensione all'"Anima nell'universo della Galassie"

Recensione all'"Anima nell'universo della Galassie"
Recensione del p. Francesco Cultrera s.j. al saggio sull'"Anima nell'universo delle galassie": La Civiltà Cattolica, 166/4 (2015), pp. 302-303