giovedì 30 maggio 2013

ODIFREDDI, MATEMATICO-TEOLOGO PARLA CON PAPA FRANCESCO SULL’EUCARISTIA



Leggo sul quotidiano cattolico AVVENIRE (12/5/13, p. 31) che il matematico Piergiorgio Odifreddi ha chiesto a Papa FRANCESCO cosa pensi della “transustanziazione” nell’Eucaristia.
            Mi congratulo col professore che, pur dichiarandosi un non-credente (in tante cose), torna spesso a parlare di temi attinenti la fede cristiana.
            E’ probabile, forse, una sua conversione? Lo invitai a tale passo in altra occasione quando scrisse a Papa Ratzinger con un bel volume su questioni bibliche e dogmatiche a cui io mi permisi di rispondere sul mio blog (nuovissima scolastica).
            Il quesito, articolato, che il Professore pone ora a Papa Francesco è il seguente:

1.      Il Santo Padre Francesco prima di fare il prete gesuita era un perito chimico.
2.      Come tale è abilitato a conoscere bene come avvengono in chimica le reazioni fra gli elementi, e gli scambi fra le sostanze-essenze dei medesimi elementi chimici.
3.      Nella consacrazione eucaristica, secondo la teologia cattolica, la sostanza del pane e del vino si trasforma (“si muta”) per volere divino nella reale presenza delle sostanze del Corpo e Sangue di Gesù Cristo (trans-substanziazione).
4.      Ma, nonostante questa profonda trasformazione tra le due sostanze, pane e vino - Corpo e Sangue di Gesù, gli accidenti del pane e del vino restano immutati. Vale a dire che i fedeli quando prendono l’ostia sacra masticano il pane e bevono il vino. Tuttavia quello che mastichiamo e beviamo non è la sostanza vera del pane e vino ma solamente gli accidenti cioè l’esteriorità del pane e del vino e non proprio la loro sostanza. Perciò, l’Ostia consacrata non è un vero pane o un buon vino ma un loro simulacro mentre in realtà la teologia dice che lì è presente l’autentica sostanza del Corpo e Sangue di Gesù. E’ presente Gesù Cristo perché: “questo (pane) è il mio Corpo e questo vino è il mio Sangue”, come riferisce il Vangelo. E’ la fede cattolica nell’Eucaristia e, quindi, nella presenza di Gesù Glorioso con la sua metafisica sostanza in quell’ostia-pane. Questa presenza è manifestata, cioè certificata, dagli accidenti del pane consacrato nella celebrazione dell’Eucaristia (la S. Messa): «fate questo in memoria di me». In quell’istante, con la parola del Sacerdote che rappresenta Cristo (alter Christus), avviene quella misteriosa trasformazione della sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Gesù: Mistero della Fede! “Proclamiamo la tua morte o Signore, professiamo la tua resurrezione nell’attesa della tua venuta” (Canone).
5.      Ora, il Prof. Odifreddi, come un teologo non-credente, a proposito di questo grande Mistero della Fede cristiana, chiede,legittimamente, al Santo Padre, come già perito chimico, se questo fenomeno chimico (ma per me è fisico come la fusione nucleare, e metafisico: sostanza-accidente) della trasposizione o transustanziazione di sostanze: pane-Corpo di Cristo, sia possibile secondo la scienza della Chimica.
Il Nostro fa al Santo Padre Francesco una domanda retorica perché sa bene, e lo dice chiaramente, che la scienza della chimica dimostra che «non può esistere una sostanza disgiunta dai suoi accidenti». Vale a dire che «sotto le apparenze (accidenti, esteriorità) del pane e del vino non vi può essere, per la scienza chimica, il Corpo o il Sangue di Gesù. Se così fosse dovrebbero scomparire anche quelle apparenze o accidenti del pane e del vino, essendo questi, per la chimica, inseparabili dalla sostanza. Ma essi rimangono percepibili dai nostri sensi. Tanto è vero che noi mastichiamo l’ostia (il pane) e beviamo il buon vino, e non certo il Corpo e il Sangue di Gesù. Perciò, niente presenza di Gesù nell’Eucaristia, come dite voi credenti nel Mistero.


COME SI RISPONDE AL LEGITTIMO PROBLEMA

1.      Come rispondere a questo plateale equivoco? E come suggerire al caro Professore che i Misteri della Fede cristiana sono di natura trascendentale? Vale a dire che la Rivelazione dei Misteri cristiani avviene nel campo soprannaturale? Gesù Cristo ha annunciato ai suoi fratelli non come si friggono i pesci in padella e neanche se o no la terra giri intorno al sole. Il Cristo ha manifestato ed «annunciato ai suoi fratelli il nome di Dio» (cfr. Lettera agli Ebrei 2, 12), cioè la Natura Divina e i suoi Misteri. E ciò è un fatto soprannaturale affatto contiguo alla scienza umana.
Perciò, quando viene chiesto dal caro Professore e da parecchi altri non-credenti, “troppo” affezionati ai problemi della religione, di dar conto scientifico dei contenuti e dei misteri della Fede si commette un inammissibile equivoco, a volte un po’ indiano… Cioè si commette, scioccamente, una fallacia di tipo logicista: voi credenti dovete dimostrare con i parametri e le categorie della scienza (galileiana) i contenuti e i significati dei Misteri da Dio rivelati nella Bibbia della sua infinita essenza ed incomprensibile volontà. Essi sono espressi con linguaggi umani e perciò sottoposti, a parer di Odifreddi, a verifica scientifica (positivismo).
E’ proprio una chiara e forte fallacia logicista. Come se io pretendessi da uno scienziato cosmologo che mi spieghi scientificamente come è fatta la Trinità dei Cieli o come avviene, se avviene, la transustanziazione  chimico-fisica nel Sacramento dell’Eucaristia, pena la incongruenza della scienza cosmologica. Un vero equivoco, un duro atteggiamento fissile: è l’equivoco della mescolanza di piani diversi della conoscenza. Ma:
2.      Sorpresa! La pretesa dell’Odifreddi e di altri parecchi scienziati di sussiego è stata già prevista, nientemeno che sette secoli fa, dall’indimenticabile e ormai unico gran teologo della Chiesa Cattolica e unico moderno filosofo grand’interprete di Aristotele: Tommaso D’Aquino: Somma Teologia, questione prima.
Egli era uno scienziato nel senso più moderno del termine e, come tale, si chiese come bisognava scientificamente rispondere a chi ci chiedesse conto, ragionevolmente, della «Fede e Speranza che è in noi» (cfr. Prima Lettera di Pietro Apostolo 3, 15).
La risposta è così limpida e razionale che, incosciamente certo, plana addirittura nel precorri mento epistemologico: la elaborazione della scienza non-euclidea fatta cinque secoli prima della scoperta matematica delle geometrie non-euclidee (Sec. XVIII).
Tommaso considerava la Teologia della Rivelazione o Sacra Dottrina come una scienza nel senso più moderno del termine. Ma una scienza sui generis che fuoriusciva dai canoni delle scienze speculative aristotelico-euclidee: propriamente quelle che oggi sono conosciute come scienze non-euclidee, dell’algebra astratta, ecc., a cui non importa la verità o falsità dei loro eventuali primi principi o proposizioni primitive, come appunto l’algebra astratta, ma solo la non-contraddittorietà delle proposizioni che le compongono.
Tutta la Somma Teologica di Tommaso è impostata proprio così come una rigorosissima scienza non-euclidea che non può affatto acclarare né spiegare i suoi principi di fondazione perché sono i divini Misteri delle Rivelazione Cristiana ma solo dimostrare che non esiste in loro e nei linguaggi che li manifestano nessuna contraddizione: una vera corposa silloge di scienza non-euclidea e non-cantoriana (per chi lo desidera la Summa è a disposizione di tutti in quasi tutte le biblioteche del mondo.
3.      Ed allora come si può rispondere a chi ci chiede ragionevole conto della nostra fede riguardo a tali misteriosi contenuti, compresa l’Eucaristia, che insistono anche sul nostro comportamento e quindi sull’etica che lo gestisce? La soluzione che daremo, alla scuola di Tommaso, è confezionata  per Odifreddi e per i colleghi scienziati galileiani e matematici cantoriani che dicono che tutte quelle belle cose a cui noi crediamo fermamente sono delle cose senza senso. Per tali scienziati noi accettiamo, per fede e ciecamente, ciò che è contro la ragione e la scienza che la distingue. Per cui tra fede e ragione non ci può essere alcun accordo perché noi non possiamo dimostrare nulla delle nostre fantasie fideiste come invece fa la scienza.
Risponde Tommaso (Summa Theologiae, questione 77, articolo primo della Terza Parte).
Egli, come chiede il caro matematico Odifreddi (si licet componere ecc.), si pone proprio la domanda: “se gli accidenti [del pane e del vino] rimangono in questo Sacramento [dell’Eucaristia] senza il soggetto [o sostanza] dopo la consacrazione. E, come in tutta la Summa, San Tommaso inizia col porre delle obiezioni a forma di quesiti che sembrano opporsi alla soluzione positiva prevista dal testo della questione settantasette: “Circa gli accidenti che rimangono [tangibili] in questo Sacramento [dell’Eucaristia] senza il soggetto o sostanza. E sembra proprio che ciò non sia possibile. Perché, scrive nell’obiezione terza, l’accidente, essendo la manifestazione (fenomeno) della sostanza, esiste concretamente nella realtà proprio per il soggetto o, meglio, per una sostanza che lo sostiene; niente sostanza, niente accidenti. Se, quindi, gli accidenti (del pane e del vino) rimangono senza soggetto (sostanza) in questo Sacramento [come di fatto è nell’ostia-panino, come dice la Fede] non sono più individui, vale a dire che non sono più individuati e identificati concretamente (ontologia) ma restano come universali (logica). Ciò che è falso, perché, così esistendo, non sono più sensitivamente esperibili ma solamente intelligibili, astratti, appunto, come gli universali della logica.
La risposta del XIII secolo al quesito dubbioso, anche al servizio del prof. Odifreddi e compagni martiri dell’angoscia ateistica del XXI secolo, è di una luminosità abbagliante. Ma è tuttavia una risposta della “scienza” teologica. Cioè è una risposta che può solo darsi nell’ambito della Fede, contro cui la scienza della ragione non può opporre nulla perché si confronta col Mistero del dogma rivelato che nessuno può comprendere né il credente né il non-credente: è su un altro piano.
4.      Il discorso di San Tommaso, a proposito della scienza teologica, nella prima questione della Summa, è di una chiarezza incredibile, addirittura accedente il precorrimento, come sopra detto, del non-euclideo.
Quando l’ateo o il non-credente, o chi diavolo sia, sostengono, in una delle scienze moderne, che nel Sacramento dell’Eucaristia la transustanziazione non è scientificamente possibile perché gli elementi chimici (o fisici) non possono esistere come accidenti percepibili (pane e vino) senza la loro sostanza o essenza o soggetto, essi fanno irruzione nel campo del soprannaturale oltre che della metafisica classica. Ma ciò non è possibile né a loro né al credente, perché i Misteri della Rivelazione cristiana fanno parte della «scienza di Dio e dei Beati» che nessuno può conoscere ma solo credere nella fede in Gesù Cristo. E se il non-credente insiste, come fanno gli Odifreddi e compagni ateisti, Tommaso risponde che «tutte le loro obiezioni non sono altro che argomenti o questioni solvibili», cioè respinte perché confutabili al lume della stessa ragione. Infatti nessuna scienza, neanche la chimica, cerca di provare i suoi principi fondativi ma: o li vede evidenti, o li deduce da una scienza superiore a cui si affida (crede), come l’ottica si affida alla geometria e la chimica alla fisica, alla quantistica, alla elettrodinamica, ecc. ecc. a cui si affida (crede). Così accade per la scienza o dottrina teologica che non può provare e dimostrare nulla dei suoi principi di fondazione che sono i Misteri di Dio, cioè sono la scienza di Dio e dei Beati. Ma, se contro la Fede cristiana e i Misteri rivelati avviene un’aggressione con ragionamenti che appartengono alle scienze razionali o esperimentali del sapere dell’umanità, a questi, da parte del teologo, si può sempre rispondere che non sono cogenti. Essi sono solo degli argomenti solvibili e confutabili perché si dimostra che le proporzioni con cui vengono espresse i temi della Fede rivelata da Dio e da Gesù Cristo non sono contraddittorie come avviene nell’algebra astratta e nelle scienze non euclidee, senza, naturalmente entrare nel merito dei principi da cui sono dedotte o fondate.
Così Tommaso conclude (Summa q. I, a. 1, c.): «Poiché, quindi, la Fede cristiana è rigorosamente fondata su una verità infallibile e della quale è impossibile dimostrare il contrario del vero, è fin troppo evidente che le prove che si portano contro la Fede non sono delle vere dimostrazioni ma solo delle argomentazioni sofistiche confutabili (solubilia argumenta)».
E così, cari amici ateisti, è meglio che non proviate a cercare dimostrazioni scientifiche contro la Fede cristiana perché San Tommaso e i Teologi che a lui si ispirano hanno già preparato enormi volumi di risposte che sono le Summae i trattati di teologia dogmatica da non confondere con la teologia razionale che opera solo con i principi e le tecniche della ricerca scientifica simile a tutte le scienze dell’umanità.







DISCORSO AD ALCUNI TEOLOGI CATTOLICI POST-CONCILIARI
LA SOLUZIONE TEOLOGICA



“Io vi darò lingua e sapienza a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere”.
(Vangelo secondo Luca  21, 15)
 
 






        Il dogma cattolico dell’Eucaristia è molto complesso per la comprensione dei significati teologici. Il tema che abbiamo trattato sul problema metafisico, sostanza-accidenti, è solo uno dei tanti. Ci aspettiamo dal nostro professor Odifreddi altri interessanti interventi, che ci daranno la splendida occasione di informare chi non conosce questi significati scientifici; magari senza scomodare il Santo Padre Francesco.
Un altro dei tanti, collegato al nostro tema, è quello dello spazio-temporalità. La teologia come scienza deve dar conto a chi ci chiede spiegazioni della soluzione, per via scientifica, del problema spazio-tempo nell’attualità del Sacramento dell’Eucaristia. Se Cristo è presente sotto le specie del pane e del vino secondo la Fede cristiana, ci chiediamo: che tipo di presenza è, visto che non si vede e non si tocca il Corpo di Gesù? La teologia dogmatica della transustanziazione, come abbiamo visto, ci ha dato una bella spiegazione sulle orme della tradizione teologica tomista e cattolica.
        Ora si presenta quest’altro problema che, suppongo, Odifreddi e compagni prima o poi ne chiederanno al “Caro Papa” conto e ragione.
Il quesito è: visto che nello stesso identico momento si trovano nel mondo molte presenze eucaristiche, si chiede: come è possibile che un solo unico Cristo, glorioso e celeste, si trovi poi identicamente moltiplicato in tanti luoghi (spazi) e nello stesso tempo (spazio-tempo)? Alla luce della scienza della logica sembra che questo fatto sia contro il principio logico-metafisico di non-contraddizione che è una delle leggi fondamentali del pensiero. E sarebbe un bel guaio se non si risolvesse per via teologica. Infatti, se non è possibile, in assoluto, che un ente esista e non-esista nello stesso momento simultaneamente e sotto il medesimo rispetto secondo tale principio, oppure, meglio: «niente simultaneamente può essere e non- essere», allora il dogma eucaristico manifesta una contraddittorietà logica e quindi ontologia (reale): una vera fallacia, un bluff.
E’ bene sottolineare, ancora, che detto principio si trasforma facilmente nel principio di identità (A è A): ogni ente è uguale a sé stesso, si identifica solo con sé stesso. E’ ciò che più ci interessa nel caso della presenza simultanea del Cristo nelle varie Eucaristie del mondo e che suscita un vero problema teologico (metafisico).
Il problema si pone così: se Cristo eucaristico è in questo spazio qui, mettiamo nella Chiesa di San Domenico a Palermo, come è possibile poi che nello stesso momento e sotto il medesimo rispetto il medesimo Cristo eucaristico si trovi, mettiamo, a Saint Patrik di Manhattam a New York? Sarebbe la violazione del gran principio di identità e, quindi, di non-contraddizione suo omonimo. Non è possibile ragionevolmente credere ad una cosa del genere. Cristo eucaristico sarebbe qui e non-qui: una mutilazione, un assurdo! La teologia deve trovare una soluzione metafisica e fisica spazio-temporale, e giustificare agli occhi degli increduli, come gli Odifreddi e compagni, che il problema è perfettamente solvibile alla luce della fisica e della metafisica, diversamente i suddetti miscredenti sarebbero, onestamente, autorizzati ad uno sberleffo per via della fallacia.
        La bella risposta metafisica intanto la troviamo in Tommaso (Summa III, q. 75).
Egli premette che la transustanziazione, e quindi la presenza della sostanza del Corpo di Cristo, è un fatto assolutamente soprannaturale (art. 4) che avviene proprio al modo della sostanza e quindi immateriale, e avviene solo per la potenza divina. La sostanza del Corpo di Gesù e del suo Sangue si sostituisce, proprio per virtù divina, come detto, trasmutandosi nella sostanza del pane e del vino, sempre rimanendo però gli accidenti: quelli che noi tocchiamo e vediamo nel loro spazio e nel loro tempo (oggi, ieri, domani).
Ora, noi sappiamo che Gesù, il Risorto da morte sicura, «siede alla destra del Padre» cioè è glorioso nel Cielo di Dio con tutta la sua sublime identità di Verbo Incarnato, Figlio di Dio: «quietum residet» (76, 6, contra). E, perciò, non può concepirsi spazializzato, termporalizzato e moltiplicato nei pani e nei diversi spazi e tempi secondo le categorie della fisica e della metafisica aristotelica.
Ed allora, il mio Cristo nei tabernacoli di tutta la terra che significa?
La risposta è la seguente.
a)         La presenza del Cristo nel Sacramento dell’Eucaristia e, quindi, nel tabernacolo non può essere concepita spazio-temporalizzata: qui ed ora. Dice San Tommaso (Summa III, qq. 76-77) che il Corpo di Cristo nell’Eucaristia non si tocca, non si spezza, non cade, non si trasloca, non si mastica. Ciò appartiene solo alle specie eucaristiche: gli accidenti del pane e del vino (77, 7, c.) e per nulla alla “sostanza” del Corpo di Gesù lì presente.



“Il saggio ha gli occhi di fronte, ma lo stolto cammina nel buio”.
(Bibbia, Libro del Qoèlet, 3, 1-3)
 
 





b)         Egli è presente proprio «al modo della sostanza e non al modo della quantità» (76, 2). La sostanza, nel senso aristotelico, è l’essere intimo di tutto ciò che esiste : gli enti. Per: essere intimo di un ente intendiamo la struttura fondamentale e necessaria che lo distingue da ogni altro. Ora, l’intimità necessaria di questa struttura, la sostanza, è rappresentata da un concetto logico che esprime la realtà metafisica: si tratta infatti di ciò che è al di là del divenire delle cose e degli accidenti cangianti percepiti dei sensi. La sostanza è, perciò, una realtà necessaria ed eterna, e quindi  solamente intelligibile che, quindi, fonda in sé stessa il suo statuto categoriale: altro è sostanza altro sono gli accidenti da essa manifestati.
            Un equivoco: la quantità, come accidente della sostanza delle categorie aristoteliche, oggi si confonde con la “materia” della fisica. Il discorso ci porterebbe fuori. Andando però, al nostro: la sostanza del pane è ciò per cui il pane è pane e non una pietra; questa struttura (ciò per cui è tale) è uguale per tutti i pani del mondo e per tutti i tempi a prescindere dalla quantità, dal colore, dal profumo, dal luogo o tempo, cioè dagli accidenti. Essa viene però individuata qui ed ora, nella concretezza della realtà, dagli accidenti propri: la quantità, la qualità, lo spazio, il tempo, ecc. (le dieci categorie aristoteliche). Per esempio: questo pane che sto mangiando è realizzato come tale, e non come pietra, dalla sostanza metafisica di pane. Esso viene individuato come questo qui che sto mangiando, e non come un pane che si trova in India, dalla quantità e dai suoi propri accidenti, compreso il bel profumo.
            Si tratta di concetti metafisici, e perciò ardui per chi non è allenato in questa storia.
            Alcuni filosofi, gli empiristi, i positivisti, ecc. hanno negato il concetto e la realtà della sostanza. Proprio per questo mi meraviglia come mai Odifreddi e compagni, ottimamente positivisti, poi trattano il tema dell’Eucaristia con il perfetto utilizzo dei concetti di sostanza, accidenti, ecc. L’aborrita metafisica li ha forse straniati?
            Ora bisogna applicare queste nostre riflessioni sull’essere-sostanza della metafisica aristotelico-tomasiana al tema dell’Eucaristia che stiamo trattando sotto la spinta dei moderni miscredenti.
c)         Il Cristo Glorioso e Divino del Paradiso (Siede alla destra di Dio Padre”) è presente in tutte le specie consacrate del pane e del vino (Eucaristia) al modo della sostanza di cui abbiamo parlato (Summa q.76, a. 1, ad 3m) «per modum substantiae»: si tratta di una presenza nel mistero soprannaturale. Di conseguenza la sostanza del Corpo di Cristo non si tocca, non cade ed è fuori dello spazio e del tempo, come la sostanza di tutti gli enti che viene individuata dagli accidenti. Essa, però, viene individuata nell’Eucaristia, qui e ora per i credenti, attraverso le specie del pane e del vino consacrate che però non ineriscono alla sostanza del Cristo eucaristico ma «sono sostenute dalla potenza divina» essendo avvenuta la transustanziazione.
            La presenza della divinità del Cristo Glorioso, inoltre, non avviene per moltiplicazione, perché ciò sarebbe contro i principi  di non-contraddizione e di identità; cosa inconcepibile. Essa avviene «per contiguità o concomitanza» (76, 1), vale a dire per una «relazione trascendentale» tra il Corpo glorioso di Gesù e le Eucaristie che si celebrano in tutto il mondo nello spazio e nel tempo della storia.
d)         Questa relazione trascendentale è come una proprietà interna alla res essenzialmente e necessariamente posseduta della sostanza del Corpo di Cristo nelle Eucaristie di tutto il pianeta.
La teoria delle relazioni interne è oggi ancora al centro delle attenzioni di molti filosofi (cfr. Ruth Barcan Marcus, Essential Attribution, in «The journal of Philosophy», XVIII (1971), 7,  pp. 187-202.
            Perciò quando noi ci mettiamo in adorazione dinanzi al Sacramento o riceviamo la comunione o solamente assistiamo alla celebrazione eucaristica (S. Messa) noi ci troviamo immersi e partecipiamo al mistero di una presenza celeste. Come se il Paradiso di Dio col suo Cristo Glorioso si accostasse a noi in relazione essenziale e necessaria e ci coinvolgesse. Forse, meglio, è come se noi fossimo resi partecipi della dimensione soprannaturale del Cielo di Dio e del suo Verbo Incarnato. Insomma siamo come in Paradiso. Vogliamo chiedere conto dello spazio e del tempo di quaggiù?

Credo che per tutti i miscredenti questa bella teologia possa bastare per dire, come San Tommaso, che ogni esigenza scientifica è soddisfatta e che non esiste alcuna contraddizione che sia contro i massimi principi della logica e della metafisica. Non è più affatto consentito, per logica, mescolare il piano della fede e quello della ragione. Chi producesse questa anomalia scientifica: o è in mala fede o non comprende gran che di queste faccende.
Suppongo che ciò possa bastare perché i bravi fisici, cosmologi e scienziati non credenti non molestino più il “Caro Papa” il quale ha ben altre cose a cui badare con grande pietà cristiana per il mondo sofferente o abbandonato. Tutte cose, queste, che minimamente hanno interessato mai gli illuministi di tutti i tempi.
Siamo pronti ad ogni confronto con il coraggio dei leoni perché il Cristo Gesù ha detto e stabilito: «Vi darò il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutte le potenze del nemico: nulla potrà danneggiarvi» (Vangelo di Luca, 10, 19). Amen!


Palermo, Festa del Corpus Domini 2013

           
                                                                                                          P. Antonino Stagnitta O.P.
                                                                                                          Teologo domenicano
                                                                                                          Palermo, Capitale Ideale d’Europa

Recensione all'"Anima nell'universo della Galassie"

Recensione all'"Anima nell'universo della Galassie"
Recensione del p. Francesco Cultrera s.j. al saggio sull'"Anima nell'universo delle galassie": La Civiltà Cattolica, 166/4 (2015), pp. 302-303