Leggo
sul quotidiano cattolico AVVENIRE (12/5/13, p. 31) che il matematico
Piergiorgio Odifreddi ha chiesto a Papa FRANCESCO cosa pensi della “transustanziazione”
nell’Eucaristia.
Mi congratulo col professore che,
pur dichiarandosi un non-credente (in tante cose), torna spesso a parlare di
temi attinenti la fede cristiana.
E’ probabile, forse, una sua
conversione? Lo invitai a tale passo in altra occasione quando scrisse a Papa
Ratzinger con un bel volume su questioni bibliche e dogmatiche a cui io mi
permisi di rispondere sul mio blog (nuovissima scolastica).
Il quesito, articolato, che il
Professore pone ora a Papa Francesco è il seguente:
1. Il Santo Padre Francesco
prima di fare il prete gesuita era un perito chimico.
2. Come tale è abilitato a
conoscere bene come avvengono in chimica le reazioni fra gli elementi, e gli
scambi fra le sostanze-essenze dei medesimi elementi chimici.
3. Nella consacrazione
eucaristica, secondo la teologia cattolica, la sostanza del pane e del vino si
trasforma (“si muta”) per volere divino nella reale presenza delle sostanze del
Corpo e Sangue di Gesù Cristo (trans-substanziazione).
4. Ma, nonostante questa
profonda trasformazione tra le due sostanze, pane e vino - Corpo e Sangue di
Gesù, gli accidenti del pane e del vino restano immutati. Vale a dire che i
fedeli quando prendono l’ostia sacra masticano il pane e bevono il vino.
Tuttavia quello che mastichiamo e beviamo non è la sostanza vera del pane e
vino ma solamente gli accidenti cioè l’esteriorità del pane e del vino e non
proprio la loro sostanza. Perciò, l’Ostia consacrata non è un vero pane o un
buon vino ma un loro simulacro mentre in realtà la teologia dice che lì è
presente l’autentica sostanza del Corpo e Sangue di Gesù. E’ presente Gesù
Cristo perché: “questo (pane) è il mio Corpo e questo vino è il mio Sangue”,
come riferisce il Vangelo. E’ la fede cattolica nell’Eucaristia e, quindi,
nella presenza di Gesù Glorioso con la sua metafisica sostanza in
quell’ostia-pane. Questa presenza è manifestata, cioè certificata, dagli
accidenti del pane consacrato nella celebrazione dell’Eucaristia (la S.
Messa): «fate questo in memoria di me». In quell’istante, con la parola
del Sacerdote che rappresenta Cristo (alter Christus), avviene quella
misteriosa trasformazione della sostanza del pane nella sostanza del Corpo di
Gesù: Mistero della Fede! “Proclamiamo la tua morte o Signore,
professiamo la tua resurrezione nell’attesa della tua venuta” (Canone).
5. Ora, il Prof. Odifreddi,
come un teologo non-credente, a proposito di questo grande Mistero della Fede
cristiana, chiede,legittimamente, al Santo Padre, come già perito chimico, se
questo fenomeno chimico (ma per me è fisico come la fusione nucleare, e
metafisico: sostanza-accidente) della trasposizione o transustanziazione di
sostanze: pane-Corpo di Cristo, sia possibile secondo la scienza della Chimica.
Il Nostro fa al Santo Padre Francesco una domanda retorica
perché sa bene, e lo dice chiaramente, che la scienza della chimica dimostra
che «non può esistere una sostanza disgiunta dai suoi accidenti». Vale a dire
che «sotto le apparenze (accidenti, esteriorità) del pane e del vino non vi può
essere, per la scienza chimica, il Corpo o il Sangue di Gesù. Se così fosse
dovrebbero scomparire anche quelle apparenze o accidenti del pane e del vino,
essendo questi, per la chimica, inseparabili dalla sostanza. Ma essi
rimangono percepibili dai nostri sensi. Tanto è vero che noi mastichiamo
l’ostia (il pane) e beviamo il buon vino, e non certo il Corpo e il Sangue di
Gesù. Perciò, niente presenza di Gesù nell’Eucaristia, come dite voi credenti
nel Mistero.
COME SI RISPONDE AL LEGITTIMO PROBLEMA
1. Come rispondere a questo
plateale equivoco? E come suggerire al caro Professore che i Misteri della Fede
cristiana sono di natura trascendentale? Vale a dire che la Rivelazione dei
Misteri cristiani avviene nel campo soprannaturale? Gesù Cristo ha annunciato
ai suoi fratelli non come si friggono i pesci in padella e neanche se o no la
terra giri intorno al sole. Il Cristo ha manifestato ed «annunciato ai suoi
fratelli il nome di Dio» (cfr. Lettera agli Ebrei 2, 12), cioè la Natura
Divina e i suoi Misteri. E ciò è un fatto soprannaturale affatto contiguo alla scienza
umana.
Perciò, quando viene
chiesto dal caro Professore e da parecchi altri non-credenti, “troppo”
affezionati ai problemi della religione, di dar conto scientifico dei contenuti
e dei misteri della Fede si commette un inammissibile equivoco, a volte un po’
indiano… Cioè si commette, scioccamente, una fallacia di tipo logicista: voi
credenti dovete dimostrare con i parametri e le categorie della scienza
(galileiana) i contenuti e i significati dei Misteri da Dio rivelati nella
Bibbia della sua infinita essenza ed incomprensibile volontà. Essi sono
espressi con linguaggi umani e perciò sottoposti, a parer di Odifreddi, a
verifica scientifica (positivismo).
E’
proprio una chiara e forte fallacia logicista. Come se io pretendessi da uno
scienziato cosmologo che mi spieghi scientificamente come è fatta la Trinità
dei Cieli o come avviene, se avviene, la transustanziazione chimico-fisica nel Sacramento
dell’Eucaristia, pena la incongruenza della scienza cosmologica. Un vero
equivoco, un duro atteggiamento fissile: è l’equivoco della mescolanza di piani
diversi della conoscenza. Ma:
2. Sorpresa! La pretesa
dell’Odifreddi e di altri parecchi scienziati di sussiego è stata già prevista,
nientemeno che sette secoli fa, dall’indimenticabile e ormai unico gran teologo
della Chiesa Cattolica e unico moderno filosofo grand’interprete di Aristotele:
Tommaso D’Aquino: Somma Teologia, questione prima.
Egli era uno scienziato
nel senso più moderno del termine e, come tale, si chiese come bisognava
scientificamente rispondere a chi ci chiedesse conto, ragionevolmente, della «Fede
e Speranza che è in noi» (cfr. Prima Lettera di Pietro Apostolo 3,
15).
La risposta è così
limpida e razionale che, incosciamente certo, plana addirittura nel precorri
mento epistemologico: la elaborazione della scienza non-euclidea fatta cinque
secoli prima della scoperta matematica delle geometrie non-euclidee (Sec.
XVIII).
Tommaso considerava la
Teologia della Rivelazione o Sacra Dottrina come una scienza nel senso
più moderno del termine. Ma una scienza sui generis che fuoriusciva dai
canoni delle scienze speculative aristotelico-euclidee: propriamente quelle che
oggi sono conosciute come scienze non-euclidee, dell’algebra astratta, ecc., a
cui non importa la verità o falsità dei loro eventuali primi principi o
proposizioni primitive, come appunto l’algebra astratta, ma solo la
non-contraddittorietà delle proposizioni che le compongono.
Tutta la Somma
Teologica di Tommaso è impostata proprio così come una rigorosissima
scienza non-euclidea che non può affatto acclarare né spiegare i suoi principi
di fondazione perché sono i divini Misteri delle Rivelazione Cristiana ma solo
dimostrare che non esiste in loro e nei linguaggi che li manifestano nessuna
contraddizione: una vera corposa silloge di scienza non-euclidea e
non-cantoriana (per chi lo desidera la Summa è a disposizione di tutti in quasi
tutte le biblioteche del mondo.
3. Ed allora come si può
rispondere a chi ci chiede ragionevole conto della nostra fede riguardo a tali
misteriosi contenuti, compresa l’Eucaristia, che insistono anche sul nostro
comportamento e quindi sull’etica che lo gestisce? La soluzione che daremo,
alla scuola di Tommaso, è confezionata
per Odifreddi e per i colleghi scienziati galileiani e matematici
cantoriani che dicono che tutte quelle belle cose a cui noi crediamo fermamente
sono delle cose senza senso. Per tali scienziati noi accettiamo, per fede e
ciecamente, ciò che è contro la ragione e la scienza che la distingue. Per cui
tra fede e ragione non ci può essere alcun accordo perché noi non possiamo
dimostrare nulla delle nostre fantasie fideiste come invece fa la scienza.
Risponde
Tommaso (Summa Theologiae, questione 77, articolo primo della Terza
Parte).
Egli, come chiede il
caro matematico Odifreddi (si licet componere ecc.), si pone proprio la
domanda: “se gli accidenti [del pane e del vino] rimangono in questo
Sacramento [dell’Eucaristia] senza il soggetto [o sostanza] dopo la
consacrazione. E, come in tutta la Summa, San Tommaso inizia col
porre delle obiezioni a forma di quesiti che sembrano opporsi alla soluzione
positiva prevista dal testo della questione settantasette: “Circa gli
accidenti che rimangono [tangibili] in questo Sacramento [dell’Eucaristia] senza
il soggetto o sostanza. E sembra proprio che ciò non sia possibile. Perché,
scrive nell’obiezione terza, l’accidente, essendo la manifestazione
(fenomeno) della sostanza, esiste concretamente nella realtà proprio per il
soggetto o, meglio, per una sostanza che lo sostiene; niente sostanza, niente
accidenti. Se, quindi, gli accidenti (del pane e del vino) rimangono senza
soggetto (sostanza) in questo Sacramento [come di fatto è nell’ostia-panino,
come dice la Fede] non sono più individui, vale a dire che non sono più
individuati e identificati concretamente (ontologia) ma restano come universali
(logica). Ciò che è falso, perché, così esistendo, non sono più sensitivamente
esperibili ma solamente intelligibili, astratti, appunto, come gli universali
della logica.
La risposta del XIII
secolo al quesito dubbioso, anche al servizio del prof. Odifreddi e compagni
martiri dell’angoscia ateistica del XXI secolo, è di una luminosità
abbagliante. Ma è tuttavia una risposta della “scienza” teologica. Cioè è una
risposta che può solo darsi nell’ambito della Fede, contro cui la scienza della
ragione non può opporre nulla perché si confronta col Mistero del dogma
rivelato che nessuno può comprendere né il credente né il non-credente: è su un
altro piano.
4. Il discorso di San
Tommaso, a proposito della scienza teologica, nella prima questione
della Summa, è di una chiarezza incredibile, addirittura accedente il
precorrimento, come sopra detto, del non-euclideo.
Quando l’ateo o il
non-credente, o chi diavolo sia, sostengono, in una delle scienze moderne, che
nel Sacramento dell’Eucaristia la transustanziazione non è
scientificamente possibile perché gli elementi chimici (o fisici) non possono
esistere come accidenti percepibili (pane e vino) senza la loro sostanza o
essenza o soggetto, essi fanno irruzione nel campo del soprannaturale oltre che
della metafisica classica. Ma ciò non è possibile né a loro né al credente,
perché i Misteri della Rivelazione cristiana fanno parte della «scienza di
Dio e dei Beati» che nessuno può conoscere ma solo credere nella fede in
Gesù Cristo. E se il non-credente insiste, come fanno gli Odifreddi e compagni
ateisti, Tommaso risponde che «tutte le loro obiezioni non sono altro che
argomenti o questioni solvibili», cioè respinte perché confutabili al lume
della stessa ragione. Infatti nessuna scienza, neanche la chimica, cerca di provare
i suoi principi fondativi ma: o li vede evidenti, o li deduce da una scienza
superiore a cui si affida (crede), come l’ottica si affida alla geometria e la
chimica alla fisica, alla quantistica, alla elettrodinamica, ecc. ecc. a cui si
affida (crede). Così accade per la scienza o dottrina teologica che non può
provare e dimostrare nulla dei suoi principi di fondazione che sono i Misteri
di Dio, cioè sono la scienza di Dio e dei Beati. Ma, se contro la Fede
cristiana e i Misteri rivelati avviene un’aggressione con ragionamenti che
appartengono alle scienze razionali o esperimentali del sapere dell’umanità, a
questi, da parte del teologo, si può sempre rispondere che non sono cogenti.
Essi sono solo degli argomenti solvibili e confutabili perché si dimostra
che le proporzioni con cui vengono espresse i temi della Fede rivelata da Dio e
da Gesù Cristo non sono contraddittorie come avviene nell’algebra astratta e
nelle scienze non euclidee, senza, naturalmente entrare nel merito dei principi
da cui sono dedotte o fondate.
Così Tommaso conclude (Summa
q. I, a. 1, c.): «Poiché, quindi, la Fede cristiana è rigorosamente fondata su
una verità infallibile e della quale è impossibile dimostrare il contrario del
vero, è fin troppo evidente che le prove che si portano contro la Fede non sono
delle vere dimostrazioni ma solo delle argomentazioni sofistiche confutabili (solubilia
argumenta)».
E così, cari amici
ateisti, è meglio che non proviate a cercare dimostrazioni scientifiche contro
la Fede cristiana perché San Tommaso e i Teologi che a lui si ispirano hanno
già preparato enormi volumi di risposte che sono le Summae i trattati di
teologia dogmatica da non confondere con la teologia razionale che opera solo
con i principi e le tecniche della ricerca scientifica simile a tutte le
scienze dell’umanità.
DISCORSO AD ALCUNI TEOLOGI CATTOLICI
POST-CONCILIARI
LA SOLUZIONE TEOLOGICA
|
1° Il dogma cattolico dell’Eucaristia è
molto complesso per la comprensione dei significati teologici. Il tema che
abbiamo trattato sul problema metafisico, sostanza-accidenti, è solo uno dei
tanti. Ci aspettiamo dal nostro professor Odifreddi altri interessanti
interventi, che ci daranno la splendida occasione di informare chi non conosce
questi significati scientifici; magari senza scomodare il Santo Padre
Francesco.
Un altro dei tanti, collegato al nostro tema, è quello dello
spazio-temporalità. La teologia come scienza deve dar conto a chi ci chiede
spiegazioni della soluzione, per via scientifica, del problema spazio-tempo
nell’attualità del Sacramento dell’Eucaristia. Se Cristo è presente sotto le
specie del pane e del vino secondo la Fede cristiana, ci chiediamo: che tipo di
presenza è, visto che non si vede e non si tocca il Corpo di Gesù? La teologia
dogmatica della transustanziazione, come abbiamo visto, ci ha dato una bella
spiegazione sulle orme della tradizione teologica tomista e cattolica.
2° Ora si presenta quest’altro problema
che, suppongo, Odifreddi e compagni prima o poi ne chiederanno al “Caro Papa”
conto e ragione.
Il quesito è: visto che
nello stesso identico momento si trovano nel mondo molte presenze eucaristiche,
si chiede: come è possibile che un solo unico Cristo, glorioso e celeste, si
trovi poi identicamente moltiplicato in tanti luoghi (spazi) e nello stesso
tempo (spazio-tempo)? Alla luce della scienza della logica sembra che questo
fatto sia contro il principio logico-metafisico di non-contraddizione che è una
delle leggi fondamentali del pensiero. E sarebbe un bel guaio se non si
risolvesse per via teologica. Infatti, se non è possibile, in assoluto, che un
ente esista e non-esista nello stesso momento simultaneamente e sotto il
medesimo rispetto secondo tale principio, oppure, meglio: «niente
simultaneamente può essere e non- essere», allora il dogma eucaristico
manifesta una contraddittorietà logica e quindi ontologia (reale): una vera
fallacia, un bluff.
E’ bene sottolineare,
ancora, che detto principio si trasforma facilmente nel principio di
identità (A è A): ogni ente è uguale a sé stesso, si identifica solo con sé
stesso. E’ ciò che più ci interessa nel caso della presenza simultanea del
Cristo nelle varie Eucaristie del mondo e che suscita un vero problema
teologico (metafisico).
Il problema si pone
così: se Cristo eucaristico è in questo spazio qui, mettiamo nella Chiesa di
San Domenico a Palermo, come è possibile poi che nello stesso momento e
sotto il medesimo rispetto il medesimo Cristo eucaristico si trovi,
mettiamo, a Saint Patrik di Manhattam a New York? Sarebbe la violazione del
gran principio di identità e, quindi, di non-contraddizione suo omonimo. Non è
possibile ragionevolmente credere ad una cosa del genere. Cristo eucaristico
sarebbe qui e non-qui: una mutilazione, un assurdo! La teologia deve trovare una
soluzione metafisica e fisica spazio-temporale, e giustificare agli occhi degli
increduli, come gli Odifreddi e compagni, che il problema è perfettamente
solvibile alla luce della fisica e della metafisica, diversamente i suddetti
miscredenti sarebbero, onestamente, autorizzati ad uno sberleffo per via della
fallacia.
3° La bella risposta metafisica intanto la
troviamo in Tommaso (Summa III, q. 75).
Egli premette che la
transustanziazione, e quindi la presenza della sostanza del Corpo di Cristo, è
un fatto assolutamente soprannaturale (art. 4) che avviene proprio al modo
della sostanza e quindi immateriale, e avviene solo per la potenza divina. La
sostanza del Corpo di Gesù e del suo Sangue si sostituisce, proprio per virtù
divina, come detto, trasmutandosi nella sostanza del pane e del vino, sempre
rimanendo però gli accidenti: quelli che noi tocchiamo e vediamo nel loro
spazio e nel loro tempo (oggi, ieri, domani).
Ora, noi sappiamo che
Gesù, il Risorto da morte sicura, «siede alla destra del Padre» cioè è
glorioso nel Cielo di Dio con tutta la sua sublime identità di Verbo Incarnato,
Figlio di Dio: «quietum residet» (76, 6, contra). E, perciò, non può
concepirsi spazializzato, termporalizzato e moltiplicato nei pani e nei diversi
spazi e tempi secondo le categorie della fisica e della metafisica
aristotelica.
Ed allora, il mio Cristo
nei tabernacoli di tutta la terra che significa?
La risposta è la
seguente.
a) La presenza del Cristo nel Sacramento
dell’Eucaristia e, quindi, nel tabernacolo non può essere concepita
spazio-temporalizzata: qui ed ora. Dice San Tommaso (Summa III, qq.
76-77) che il Corpo di Cristo nell’Eucaristia non si tocca, non si spezza, non
cade, non si trasloca, non si mastica. Ciò appartiene solo alle specie
eucaristiche: gli accidenti del pane e del vino (77, 7, c.) e per nulla alla
“sostanza” del Corpo di Gesù lì presente.
|
b) Egli è presente proprio «al modo della
sostanza e non al modo della quantità» (76, 2). La sostanza, nel senso
aristotelico, è l’essere intimo di tutto ciò che esiste : gli enti. Per: essere
intimo di un ente intendiamo la struttura fondamentale e necessaria che lo
distingue da ogni altro. Ora, l’intimità necessaria di questa struttura, la
sostanza, è rappresentata da un concetto logico che esprime la realtà metafisica:
si tratta infatti di ciò che è al di là del divenire delle cose e degli
accidenti cangianti percepiti dei sensi. La sostanza è, perciò, una realtà
necessaria ed eterna, e quindi
solamente intelligibile che, quindi, fonda in sé stessa il suo statuto
categoriale: altro è sostanza altro sono gli accidenti da essa manifestati.
Un equivoco: la quantità, come
accidente della sostanza delle categorie aristoteliche, oggi si confonde con la
“materia” della fisica. Il discorso ci porterebbe fuori. Andando però, al
nostro: la sostanza del pane è ciò per cui il pane è pane e non una pietra;
questa struttura (ciò per cui è tale) è uguale per tutti i pani del mondo e per
tutti i tempi a prescindere dalla quantità, dal colore, dal profumo, dal luogo
o tempo, cioè dagli accidenti. Essa viene però individuata qui ed ora, nella
concretezza della realtà, dagli accidenti propri: la quantità, la qualità, lo
spazio, il tempo, ecc. (le dieci categorie aristoteliche). Per esempio: questo
pane che sto mangiando è realizzato come tale, e non come pietra, dalla
sostanza metafisica di pane. Esso viene individuato come questo qui che
sto mangiando, e non come un pane che si trova in India, dalla quantità e dai
suoi propri accidenti, compreso il bel profumo.
Si tratta di concetti metafisici, e
perciò ardui per chi non è allenato in questa storia.
Alcuni filosofi, gli empiristi, i
positivisti, ecc. hanno negato il concetto e la realtà della sostanza. Proprio
per questo mi meraviglia come mai Odifreddi e compagni, ottimamente positivisti,
poi trattano il tema dell’Eucaristia con il perfetto utilizzo dei concetti di
sostanza, accidenti, ecc. L’aborrita metafisica li ha forse straniati?
Ora bisogna applicare queste nostre
riflessioni sull’essere-sostanza della metafisica aristotelico-tomasiana al
tema dell’Eucaristia che stiamo trattando sotto la spinta dei moderni
miscredenti.
c) Il Cristo Glorioso e Divino del
Paradiso (Siede alla destra di Dio Padre”) è presente in tutte le specie
consacrate del pane e del vino (Eucaristia) al modo della sostanza di
cui abbiamo parlato (Summa q.76, a. 1, ad 3m) «per modum
substantiae»: si tratta di una presenza nel mistero soprannaturale. Di
conseguenza la sostanza del Corpo di Cristo non si tocca, non cade ed è fuori
dello spazio e del tempo, come la sostanza di tutti gli enti che viene
individuata dagli accidenti. Essa, però, viene individuata nell’Eucaristia, qui
e ora per i credenti, attraverso le specie del pane e del vino consacrate
che però non ineriscono alla sostanza del Cristo eucaristico ma «sono
sostenute dalla potenza divina» essendo avvenuta la transustanziazione.
La presenza della divinità del
Cristo Glorioso, inoltre, non avviene per moltiplicazione, perché ciò sarebbe
contro i principi di non-contraddizione
e di identità; cosa inconcepibile. Essa avviene «per contiguità o concomitanza»
(76, 1), vale a dire per una «relazione trascendentale» tra il Corpo
glorioso di Gesù e le Eucaristie che si celebrano in tutto il mondo nello
spazio e nel tempo della storia.
d) Questa relazione trascendentale è come una
proprietà interna alla res essenzialmente e necessariamente
posseduta della sostanza del Corpo di Cristo nelle Eucaristie di tutto il
pianeta.
La teoria delle relazioni
interne è oggi ancora al centro delle attenzioni di molti filosofi (cfr.
Ruth Barcan Marcus, Essential Attribution, in «The journal of
Philosophy», XVIII (1971), 7, pp.
187-202.
Perciò quando noi ci mettiamo in
adorazione dinanzi al Sacramento o riceviamo la comunione o solamente
assistiamo alla celebrazione eucaristica (S. Messa) noi ci troviamo immersi e
partecipiamo al mistero di una presenza celeste. Come se il Paradiso di Dio col
suo Cristo Glorioso si accostasse a noi in relazione essenziale e necessaria e
ci coinvolgesse. Forse, meglio, è come se noi fossimo resi partecipi della
dimensione soprannaturale del Cielo di Dio e del suo Verbo Incarnato. Insomma
siamo come in Paradiso. Vogliamo chiedere conto dello spazio e del tempo di
quaggiù?
Credo che per tutti i miscredenti questa bella
teologia possa bastare per dire, come San Tommaso, che ogni esigenza
scientifica è soddisfatta e che non esiste alcuna contraddizione che sia contro
i massimi principi della logica e della metafisica. Non è più affatto
consentito, per logica, mescolare il piano della fede e quello della ragione.
Chi producesse questa anomalia scientifica: o è in mala fede o non comprende
gran che di queste faccende.
Suppongo che ciò possa bastare perché i bravi
fisici, cosmologi e scienziati non credenti non molestino più il “Caro Papa” il
quale ha ben altre cose a cui badare con grande pietà cristiana per il mondo
sofferente o abbandonato. Tutte cose, queste, che minimamente hanno interessato
mai gli illuministi di tutti i tempi.
Siamo pronti ad ogni confronto con il coraggio
dei leoni perché il Cristo Gesù ha detto e stabilito: «Vi darò il potere di
camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutte le potenze del nemico: nulla
potrà danneggiarvi» (Vangelo di Luca, 10, 19). Amen!
Palermo,
Festa del Corpus Domini 2013
P.
Antonino Stagnitta O.P.
Teologo
domenicano
Palermo,
Capitale Ideale d’Europa